09 Gennaio 2016, 06:30
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PALERMO – Chissà quali effetti avrà una volta entrata in vigore. Chissà se l’annunciata legge delega per la riforma del diritto fallimentare spazzerà via solo la parola “fallito” oppure inciderà sui tempi lumaca delle procedure. A Palermo ci vogliono in media 14 anni per chiuderne una. Le statistiche sono ferme a un paio di anni fa. Per conoscere i numeri nuovi bisogna attendere l’inaugurazione dell’anno giudiziario di fine gennaio. All’orizzonte, però, non ci sono modifiche sostanziali. Anche perché servirebbe un miracolo. Gli ultimi dati disponibili ci dicono che nel distretto di Palermo le domande di fallimento sono state 975 – un dato stabile nel tempo – mentre quelli dichiarati sono stati 355. Restano da definire 3.443 procedure.
Ed è sui numeri che la riforma del governo Renzi dovrà incidere. La prima grande novità sarà lessicale. La parola fallimento non esiterà più, sostituita da “liquidazione giudiziale”. Sparirà pure il conseguente e fastidioso appellativo di fallito. Un marchio di infamia in vigore per regio decreto dal 1942. Regime fascista. Seconda guerra mondiale. Non è il primo tentativo di riorganizzazione del settore. Non è facile perché in ballo ci sono fortissimi interessi economici. Anche stavolta pare che non verrà intaccato più di tanto il ricorso alle amministrazioni straordinarie che dovevano servire per cercare di salvare le imprese in crisi e che, invece, negli anni, sono diventate strumento per distribuire consulenze targate ministero dello Sviluppo economico. La riforma dovrebbe privilegiare tutta una serie di interventi prima che la crisi diventi irreversibile, favorire la mediazioni fra debitori e creditori, facilitare i piani di risanamento e gli accordi di ristrutturazione. Se, però, le cose dovessero lo stesso andare male la palla passerà, come sempre, ai Tribunali dove finiscono i libri contabili di un’azienda o una società in crisi o in stato di insolvenza.
È il Tribunale che dichiara il fallimento e nomina il giudice delegato che a sua volta sceglie il curatore fra gli iscritti all’ordine degli avvocati e dei commercialisti. Il curatore ha il compito di garantire l’interesse della massa dei creditori, anche mettendo all’asta i beni aziendali. In base al rapporto attivo-passivo viene poi stabilita la sua parcella che parte da un minimo di 800 euro circa. Il curatore si avvale di consulenti: avvocati per seguire le cause legali innescate dal fallimento, tecnici per le perizie sugli immobili e sul patrimonio in generale, esperti contabili.
E qui si innesta un altro delicato capitolo. Nei mesi scorsi la giustizia palermitana è uscita con le ossa rotte dallo scandalo sulla gestione dei beni confiscati. In attesa della fine delle indagini dei pm di Caltanissetta e dei finanzieri della Polizia tributaria, di certo c’è che la sezione Misure di prevenzione del Tribunale è stata azzerata. Con un intero collegio di giudici trasferito e il presidente Silvana Saguto sospeso. Nei giorni dello scandalo, il 18 settembre scorso, e mentre il neo presidente del Tribunale, Salvatore Di Vitale, dettava le nuove regole per amministrare i beni sottratti ai boss, il presidente della Fallimentare Fabio Marino, appena insediatosi, assieme ai giudici delegati Monica Montante, Raffaella Vacca, Flavia Coppola, Mauro Terranova, Clelia Maltese e Giuseppe Sidoti diramarono una circolare per il “monitoraggio periodico degli incarichi”. Una circolare che ha segnato la rottura con gli schemi del passato per il lavoro di tutti, a cominciare dagli stessi giudici. Una rottura invocata anche dal presidente dell’ordine degli avvocati, Francesco Greco, che ha chiesto trasparenza non solo alle Misure di prevenzione ma anche alla Fallimentare.
L’imperativo ora è turn over negli incarichi. Ecco alcuni passaggi della circolare di settembre: “I curatori dovranno astenersi dal nominare come legali altri professionisti inseriti nel proprio studio o con i quali vi siano collaborazioni continuative o rapporti di parentela”; “Qualora lo stesso curatore sia un avvocato dovrà evitare e comunque contenere le nomine di legali che abbiano a loro volta nominato lui stesso come legale nelle procedure ad essi affidate (sempre che non si tratti di nomine occasionate dalla particolare esperienza del professionista). In generale, il curatore dovrà astenersi dall’effettuare nomine che possono fare ritenere operanti accordi per lo scambio di incarichi”.
La necessità di mettere nero su bianco i paletti è la prova che, in realtà, gli scambi sono avvenuti in tante procedure fallimentari già avviate. Così come lo è il fatto che il neo presidente Marino, a novembre, abbia chiesto ai curatori di comunicare i nomi di coloro che hanno scelto per la gestione della curatela, dal consulente fiscale all’uomo di fatica. L’obiettivo è quello di creare una banca dati in nome della trasparenza.
Nel frattempo, tornando alle Misure di prevenzione, è anche nel settore fallimentare che il neo presidente Giacomo Montalbano ha guardato per la scelta degli amministratori giudiziari del nuovo corso. Ad esempio, alcuni incarichi “lasciati” da Gaetano Cappellano Seminara, il più noto fra gli amministratori “costretto” alle dimissioni perché indagato per corruzione assieme alla Saguto dai pm di Caltanissetta, sono stati assegnati ad Alfonsa Cottone, Mario Parisi e Marina Vajana, professionisti finora molto impegnati nelle curatele fallimentari.
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09 Gennaio 2016, 06:30