06 Febbraio 2019, 16:22
3 min di lettura
PALERMO – Il no al fallimento del Palermo calcio non è stato pilotato. Si trattò di una decisione legittima e non il frutto di un patto corruttivo. Corruzione che ci fu, ma è stata derubricata da propria a impropria. Non è una mera questione linguistica ma sostanziale quella stabilita dal Tribunale del Riesame di Caltanissetta che ha derubricato in corruzione per esercizio della funzione e non per compiere un atto contrario ai doveri di ufficio le accuse a carico di Giuseppe Sidoti, giudice della sezione fallimentare di Palermo, e dell’ex presidente della società rosanero Giovanni Giammarva.
Da qui la decisione di ridurre da un anno a sei mesi la sospensione dalla funzione di magistrato per Sidoti e di esercitare funzioni direttive nelle persone giuridiche nei confronti di Giammarva. Al professionista è stata invece revocata con effetto immediato la sospensione dalla professione di commercialista.
Il Riesame piccona la ricostruzione dell’accusa secondo cui, il Tribunale aveva respinto l’istanza di fallimento perché Sidoti era stato corrotto con una serie di regalie: biglietti per le partite del Palermo, pass per parcheggiare la macchina e accedere alla sala Vip, incarichi per il fratello di una donna legata a Sidoti.
Uno dei punti contestati era il fatto che il giudice avrebbe dovuto astenersi alla luce dei buoni rapporti che lo legavano a Giammarva. È vero, scrive il Riesame, che i due erano in confidenza a giudicare anche dalle espressioni colorite con cui l’ex presidente del Palermo si rivolgeva al magistrato, ma “è emerso che si erano conosciuti per motivi professionali (e cioè la nomina di Giammarva da parte delle Misure di prevenzione) ma avevano evitato di intrattenere qualsivoglia rapporto sin dal momento in cui Sidoti si era trasferito a Palermo nel 2006”.
In effetti, fanno notare i giudici, “i rapporti di frequentazione fra Sidoti e Giammarva risultato essere ricominciati solo nel mese di aprile 2018” e cioè dopo che fu emessa la sentenza sulla società di Viale del Fante. Lo dimostra il fatto che Sidoti registrò in rubrica il numero di Giammarva dopo la sentenza mentre “è prassi comune quella di registrare sul telefono i contatti delle persone che si sentono con frequenza”.
Altro punto controverso era la nomina nel collegio dei periti scelto dal Tribunale di Daniele Santoro legato da rapporti professionali e personali con Giammarva. Un altro tassello, secondo l’accusa, del patto che avrebbe portato alla bocciatura dell’istanza di fallimento. Nulla di tutto ciò, secondo il Riesame: il presidente della sezione Fallimentare, Giovanni D’Antoni, la cui testimonianza è stata raccolta dai legali di Giammarva e Sidoti, gli avvocato Fabrizio Biondo e Monica Genovese, ha spiegato che la scelta dei periti fu una decisione collegiale non certo del solo Sidoti e Santoro godeva di grande stima professionale.
Il cuore dell’indagine era la conversazione intercorsa fra Sidoti e l’avvocato del Palermo Francesco Paolo Di Trapani, dalla quale, secondo l’accusa, emergeva che il giudice aveva suggerito al legale cosa fare per evitare il fallimento. Anche in questo caso Sidoti non ha compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio perché non è irrituale, anzi fa parte delle prerogative del giudice, fornire indicazioni per evitare il fallimento.
Restano le regalie che Sidoti ha indubbiamente ricevuto da Giammarva. Il Riesame spiega che “le utilità sono state prestate pochissimo tempo dopo la conclusione del procedimento fallimentare nell’ambito del quale Sidoti aveva mostrato la propria pienezza dei poteri, circostanza che induce a ritenere che esse fossero collegate, causalmente o finalisticamente, all’esercizio della propria funzione”. Insomma, il magistrato non avrebbe dovuto accettare i regali.
Pubblicato il
06 Febbraio 2019, 16:22