02 Settembre 2014, 14:10
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PALERMO – “O siamo in grado di recuperare la fiducia dei siciliani, o è meglio andare a casa”. Davide Faraone ieri non era presente al vertice del Pd. C’erano i “suoi”, però. I tanti renziani adesso a sostegno del governo Crocetta. Il componente della direzione nazionale dei democratici rompe oggi il silenzio scegliendo, in alcuni passaggi, anche la via dell’autocritica: “Questo partito è sempre stato irrilevante in Sicilia”.
Un partito dilaniato dalle correnti, diviso su ogni cosa, quello dipinto da chi, d’altra parte, ha rivestito anche il ruolo di deputato regionale nell’era dell’appoggio all’esecutivo di Raffaele Lombardo. “Quando eravamo irrilevanti perché all’opposizione, – ricorda Faraone – litigavamo intorno a figure carismatiche come Cuffaro o Orlando. Le correnti, nel centro sinistra, nascevano e si strutturavano secondo la vicinanza o meno a questi uomini. Quando abbiamo promosso il “ribaltone” (non voglio dare, in questo caso, per forza accezione negativa alla parola), siamo diventati un po’ meno irrilevanti, ma sempre intorno ad un altro uomo, si sono alimentate le nostre divisioni. È nata perfino un’anima radical/pannelliana, che ha promosso un referendum. Lombardo sì o no. Ora che siamo diventati rilevanti, perché al governo, tutto sempre attorno ad un uomo continua a consumarsi, Crocetta”.
Ma qualcosa, stavolta, sembra cambiato. “Almeno in questo caso – precisa Faraone – trattasi di una figura del nostro partito. La rilevanza, naturalmente è data dal livello d’attenzione che ci è riservata dall’opinione pubblica e dai media. Dall’inizio delle legislatura abbiamo inanellato una serie infinita di settimane decisive, di vertici conclusivi, di rimpasti svolta. Con una mitraglietta sono stati sparati penultimatum a raffica in tutte le direzioni. Abbiamo annunciato riforme, ma senza governo e maggioranza coesa, nemmeno con il cannocchiale le vedremo. Siamo tornati alla più bieca partitocrazia, vertici, lottizzazioni compiute o represse, delegazioni di partito. Come se fuori dalla Sicilia, il mondo non stesse andando in tutt’altra direzione”.
Un’immagine impietosa, di un partito che da troppo tempo ormai sembra incapace di uscire dal labirinto dei vertici continui. E degli annunci. Ai quali, a dire il vero, tra decaloghi e ulitmatum, ha contribuito lo stesso Faraone. “Come nel gioco dell’oca, alla fine di ogni giro, – dice però oggi il parlamentare renziano – ci siamo sempre ritrovati al punto di partenza. E nonostante il ridicolo balletto che abbiamo messo in scena, i siciliani, hanno continuato a seguirci. Non a sostenerci o a fischiarci, ma a vedere la partita, come un tifoso della Juve può assistere ad un derby tra Roma e Lazio. I pazienti e coraggiosi giornalisti ha scritto di noi e hanno continuato a scrivere di noi, nonostante la partita fosse brutta e in balìa del più tragico catenaccio. Ho quasi sperato – aggiunge Faraone – che si stancassero di noi. Ho immaginato cosa sarebbe potuto accadere se un giorno, davanti all’ennesimo vertice, non si fosse presentata nessuna telecamera, nessun taccuino. C’è un tizio a Roma, che viene sotto la sede del Pd e ogni mattina, ormai da qualche mese, comincia ad urlare e insultare i politici. Il primo giorno folla di curiosi e polizia in assetto antisommossa. Lentamente, man mano che la scena si ripeteva, sempre meno curiosi, sempre meno poliziotti. Ormai lo aspettiamo intorno alle 11 al Nazareno e dopo averlo ascoltato nella sua solita performance, lo accompagnamo al bar e gli offriamo il caffè”.
Dopo il sorriso, però, è il momento dell’amarezza. “La verità è una soltanto. È cambiata la prospettiva, è cambiato il nostro ruolo, ma noi siamo rimasti irrilevanti. Quando eravamo all’opposizione, quando siamo stati “a metà” e ora che siamo al governo. Nonostante non esista alcuna opposizione e nessuna reale e valida alternativa. La nostra “rilevanza” non è data dalla nostra capacità di produrre risultati, ma dal fatto, che ora, dal governo, gestiamo risorse economiche per conto dei siciliani e che, anche dalle nostre scelte, dipende il loro futuro. L’unico motivo d’attenzione, deriva da questo. Da questo dovrebbero derivare anche la nostra responsabilità e il nostro senso del dovere. Se ci riusciamo, e io continuo a pensare che sia possibile, andiamo avanti e cerchiamo di riconquistare la fiducia dei siciliani. Altrimenti, – conclude Faraone – prendiamo atto del fallimento e cediamo il passo. Io non vedo più alternative”.
E l’intervento di Faraone piomba sulla già infuocata vicenda del rimpasto. Il vertice di ieri ha prodotto un documento che prelude alla prossima presentazione dei nomi dei nuovi assessori Pd al vice di Matteo Renzi, Lorenzo Guerini e al presidente Crocetta. Quest’ultimo, a dire il vero, ieri non ha risparmiato “stoccate” al suo partito: “Abbiamo cambiato la Sicilia. Qualcuno non ci sta? Sono pronto alla battaglia”. Ma il segretario Raciti dal canto suo, va dritto. E conferma che nelle prossime ore i nomi verranno presentati. Quattro assessori. Quattro nomi utili a riequilibrare il rapporto “renziani-non renziani” in giunta. Così, pare che dovrebbero rimanere al proprio posto quelli scelti in occasione del “Crocetta-bis”, l’esecutivo che produsse lo strappo con i cuperliani: Giuseppe Bruno al Lavoro e Roberto Agnello all’Economia quasi certamente saranno confermati. “Sarebbe assurdo – commenta del resto Giuseppe Lupo – pensare di cambiare l’assessore all’Economia per la terza volta in un anno. E d’altra parte, Agnello in questo periodo ha operato bene su tre leggi importanti come il ‘salvaimprese’ e le due manovre”. Resta da sciogliere il dubbio sui due cuperliani in giunta, invece. Uno potrebbe essere Angelo Villari. Comunque si tratterà di politici, ma non deputati regionali.
Ma la partita è assai più estesa. “A noi ieri – racconta il capogruppo democratico Baldo Gucciardi – non è stato chiesto alcun nome. E io sono anche il capogruppo. La direzione regionale di qualche settimana fa parla di ‘rafforzamento dell’esecutivo’. Un’operazione che dovrebbe essere discussa con l’intero partito e anche col presidente della Regione, che ovviamente deve considerare quei nomi ‘di suo gradimento’. Ma noi renziani, ieri – aggiunge Gucciardi – abbiamo chiesto che si discutesse ad ampio raggio. Ad esempio, entro il 16 settembre voglio conoscere le intenzioni del mio partito sulla scelta del possibile vicepresidente dell’Assemblea regionale. Quella è una scelta politica”.
In ballo anche le altre cariche in parlamento, compresa la presidenza delle commissioni parlamentari. Il Pd al momento è rappresentato da tre cuperliani: Cracolici agli Affari istituzionali, Digiacomo alla Sanità e Marziano alle Attività produttive. Una richiesta che ieri sarebbe stata accolta e rilanciata dal segretario regionale. Il rilancio? L’azzeramento anche delle cariche nel Consiglio di presidenza dove il Pd ha “piazzato” Franco Rinaldi e Anthony Barbagallo, quest’ultimo vicino proprio a Giuseppe Lupo. Così, il tentativo di far pace si sta trasformando in qualcos’altro. In un risiko dalle conseguenze imprevedibili. Tranne una. Quella dipinta amaramente da Faraone: “Questo Pd non conta nulla”.
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02 Settembre 2014, 14:10