Fava: "Il Ponte? Non serve, ecco come voglio cambiare la Sicilia" - Live Sicilia

Fava: “Il Ponte? Non serve, ecco come voglio cambiare la Sicilia”

Il candidato alle presidenziali del fronte progressista non le manda a dire.
L'INTERVISTA
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6 min di lettura

CATANIA – Il suo cursus honorum, che si snoda dalle aule parlamentari di Roma a quella di Bruxelles, non è un limite semmai un vantaggio. E nemmeno il fatto di avere già tentato la corsa a Palazzo D’Orleans. Claudio Fava, candidato alle presidenziali del fronte progressista, sul punto è estremamente chiaro. L’ex presidente commissione antimafia rivendica il ruolo di fiero oppositore del governo Musumeci a Sala D’Ercole e non le manda a dire agli alleati. “In questi cinque anni io sui problemi di questa terra, anche facendo i nomi e i cognomi sgradevoli che nessuno vuole fare, ci sono stato. Non ho notizia di altrettanta presenza e altrettanto impegno da parte dei miei competitor”, dice Fava. Dal fermo no al Ponte sullo Stretto alla questione sociale, lo scrittore e giornalista catanese snocciola i punti salienti del suo programma. 

Fava, partiamo dai tasti dolenti. Quanto rischia di danneggiarla il fatto di avere già corso per la presidenza? Quanto la narrazione dominante che la vorrebbe un candidato rappresentativo di un’esigua minoranza di persone? 

Danneggiarmi zero. Il fatto di avere già corso è soltanto la dimostrazione di avere una storia alle spalle e anche un’esperienza politica. Non credo nell’improvvisazione quando si tratta di andare a governare una terra complicata come la Sicilia e credo che si cresce, si matura, si acquistano le risorse e si affinano i progetti. Per cui non lo considero uno svantaggio. Che io rappresenti una minoranza è una cosa che fare piacere pensarla a chi non mi vuole votare. Penso davvero di essere il candidato che può parlare a tutti compresi gli elettori del Pd e dei Cinquestelle, agli elettori della sinistra e a quelli che non votano. E’ un po’ anche la mia storia, non è soltanto la mia intenzione. Una storia che non mi vede dentro una parrocchia o in un recinto chiuso, ma capace di esprimere anche una trasversalità che è un po’ anche il senso di una vita che non è stata tutta chiusa dentro una sezione di partito, dentro un segmentino della politica. Per cui, per qualcuno può essere un limite, per me è un grosso vantaggio. 

Secondo lei si può parlare di questione morale senza affrontare la questione sociale? La narrazione non rischia di risultare monca?

E’ la prima cosa che ho detto al primo confronto. Se non affronti la questione sociale, se non ti poni il problema dei diritti negati e del problema di una politica che si è abituata a negare i diritti o a trasformarli in piccole e graziose elemosine, la questione morale diventa soltanto un problema da tribunali. Per me la questione morale in Sicilia è il fatto che ci sia il 4% di scuole con tempo pieno mentre a Milano sono il 90%. E’ questione morale se si pensa al tempo della vita, al tempo delle donne e alle loro possibilità di essere davvero protagoniste dentro il percorso di vita mentre spesso vengono relegate a funzioni supplenza perché lo Stato non c’è, perché le politiche attive non ci sono. La questione morale è il 21% di dispersione scolastica, indegno di un Paese civile, con punte del 60% in alcuni quartieri della nostra periferia. La questione morale sono 400.000 lavoratori in nero che sono spesso ricattati e umiliati e 380.000 aziende con 60 ispettori del lavoro. La questione morale è l’assenza di tenuta etica della politica che poi determina che ci sia anche un indotto mafioso perché in tutto questo poi gli spazi e le ricadute per il protagonismo mafioso sono molto ampi.

Insomma, ben oltre il reddito di cittadinanza.

Il reddito di cittadinanza è sicuramente una cosa utile, ma non credo che in Sicilia quando hai una famiglia su quattro che viaggia sul baratro della povertà serve il reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza è un reddito di sopravvivenza: non è il riscatto di una terra. 

Il Ponte sullo Stretto sembra dividere il fronte progressista. Qual è la sua posizione sul tema?

Il Ponte sullo Stretto non serve. E’ insostenibile dal punto di vista economico come dicono i progettisti e gli studi del Politecnico di Torino in anni non sospetti: un manufatto che funzionerebbe, nella migliore delle ipotesi, al 15% della propria potenzialità. Se può ospitare il passaggio di cento auto, ne passeranno quindici.  Questo vuol dire che dal punto di vista economico è tragicamente in rosso il bilancio della sua sostenibilità. È un ponte destinato a rimanere chiuso per ragioni di sicurezza 100 giorni l’anno visto che sarebbe collocato nella zona più sismica d’Europa. E’ un ponte cha fa recuperare un tempo minimo rispetto a quello potrebbe essere recuperato, non dico ovviamente intervenendo sull’infrastruttura ferroviaria siciliana che risale all’anteguerra (la prima guerra, non la seconda) ma basterebbe ad esempio intervenire sulle strutture portuali con treni più corti e navigli più lunghi e non avresti bisogno di spezzare i convogli e spenderesti un’ora e un quarto al traghettamento. Non è un caso che questo governo stia studiando soluzioni alternative, compresa quella dell’opzione zero: investiamo, appunto, sul naviglio e sulla portualità. Inoltre è un cantiere che apriremmo e forse non chiuderemmo mai più se abbiamo impiegato 25 anni per rimettere a posto il viadotto Ritiro, proprio nella periferia messinese. E poi non è ben chiaro che cosa faremo degli 8 milioni di metri cubi di terra da riporto che da qualche parte andrebbe scaricata. Insomma, è una cosa molto bella da raccontare come i trenini ad alta velocità, che di alto hanno soltanto il costo, che inaugura il sottosegretario Cancelleri. 

Quali sono i punti salienti del suo programma? Perché un siciliano dovrebbe votare per lei alle presidenziali piuttosto che per Caterina Chinnici o Barbara Floridia? 

Non mi sto candidando perché me lo chiede il mio partito ma perché l’ho deciso io, non mi sto candidando perché è un atto romantico e retorico di amore nei confronti della mia terra, ma perché invece credo che questa terra vada risvegliata e sfidata e convinta che un cambiamento profondo è possibile. A partire dai comportamenti dei siciliani, da una moratoria definitiva sulle rassegnazioni e perché credo di avere un’idea su che cosa possa divenire questa Sicilia tra dieci anni; non altri dieci anni di emergenze in cui gestire le piccole elemosine che vanno ai clienti e agli amici, ma una terra su cui costruire una sfida davvero destinata a cambiare, se saremo capaci, la storia. E poi mi permetto di aggiungere una cosa.

Prego.

In questi cinque anni, volendo essere un po’ malizioso, io sui problemi di questa terra, anche facendo i nomi e i cognomi sgradevoli che nessuno vuole fare, ci sono stato. Non ho notizia di altrettanta presenza e altrettanto impegno da parte dei miei competitor quando c’era da fare i nomi dei padroni delle discariche o a raccontare quanto fosse stato inquinante per la politica siciliana il sistema Montante e potrei continuare. 

In caso di vittoria alle presidenziali quale avversario del centrodestra preferirebbe sfidare?

Musumeci perché è giusto che venga giudicato e bocciato dai siciliani così non avrà più alibi e non potrà più prendersela con Miccichè o Ficarra e Picone, ma se la dovrà prendere con se stesso una volta per tutte.


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