Cronaca

Femminicidi, la lunga scia di sangue che arriva a Vanessa

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26 Agosto 2021, 06:03

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CATANIA – Una catena di vite spezzate, tutte uniche e tutte simili. Il femminicidio di Vanessa Zappalà, uccisa a colpi di pistola dall’ex fidanzato Tony Sciuto, è purtroppo l’ultimo di una serie che coinvolge le donne siciliane, tutte accomunate dall’aver voluto fermare relazioni diventate troppo pericolose. Donne con vite normali vittime di uomini, anche loro, troppo uguali tra loro, possessivi, maniaci del controllo, ossessivi e manipolatori.

I casi

Tutti i femminicidi avvenuti in Sicilia negli ultimi dieci anni sono stati compiuti da uomini che conoscevano le proprie vittime. Da molto vicino, dato che erano sempre ex fidanzati, ex compagni, persone con cui le donne avevano avuto delle relazioni anche importanti. Ma a un certo punto erano state sempre loro, le donne, a decidere di terminare quelle relazioni, che a un certo punto diventavano problematiche. Violente, nel senso più ampio che la parola può assumere, dai colpi fisici alle manipolazioni alle persecuzioni.

È stata uccisa dal suo ex Stefania Noce, studentessa femminista, uccisa nel 2011 da Loris Gagliano. Erano stati insieme per molti anni, poi lei aveva deciso di allontanarsi da quella storia. Nel corso dell’ultima lite, proprio per quel motivo, lui la uccise a coltellate, colpendo a morte anche il nonno di lei. E fu vittima del suo ex anche Valentina Salamone, 19 anni, nel 2010 trovata impiccata a una trave, in realtà uccisa da Nicola Mancuso, uomo sposato con tre figli con cui aveva avuto una relazione (condanna in appello). Ancora, Veronica Valenti, 30 anni, nel 2014 è uccisa a coltellate da Gora Mbengue, con cui aveva deciso di troncare la relazione, e Giordana Di Stefano, 20 anni, uccisa con 47 coltellate nel 2015 da Antonio Luca Priolo, ex convivente con cui aveva anche avuto un bambino. Uccisa il giorno dell’udienza preliminare del processo per stalking. E Vanessa Zappalà, uccisa a colpi di pistola mentre passeggia con gli amici, dall’ex che aveva denunciato per stalking e che per questo aveva ricevuto arresti domiciliari e divieto di avvicinamento.

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Gli uomini e la legge

All’opinione pubblica può arrivare la fine, tragica e dolorosa, di ciascuna di queste vicende, ma ogni femminicidio avvenuto in Sicilia (come nel resto d’Italia: in questo non esistono differenze culturali tra nord e sud) è sempre l’atto finale di un lungo percorso di paura, di lotta per vivere e di violenza che nella grande maggioranza dei casi le donne si trovano a dovere affrontare da sole. Denunce, nuovi reati come quello di stalking e misure di prevenzione sono state adottate nel corso degli anni, ma è chiaro che non funzionano sempre, e che da sole le misure di polizia potrebbero non essere sufficienti, dato che un uomo determinato a trattare la sua ex come un oggetto di cui disporre a proprio piacimento non si fa fermare da un documento scritto da un tribunale.

Le siciliane cadute per femminicidio negli ultimi dieci anni avevano sempre cercato protezione, condivisione delle proprie paure. Lanciavano segnali. Se a volte non si è stati abbastanza pronti a coglierli non è solo per questioni di giustizia, ma perché ancora oggi un’intera fetta di opinione pubblica che non sopporta l’idea che, semplicemente, si possa considerare una relazione come una proprietà privata e prendere un martello, una pistola, un coltello perché non si accetta che sia finita. Fioccano spiegazioni tanto consolatorie quanto vuote e irreali: la gelosia, la furia cieca, il colpo di testa.

La parola

Nelle cronache di dieci anni fa si fa fatica a rinvenire il termine “femminicidio”. Qualcuno iniziava a usarlo in qualche articolo, ma nel discorso comune e nei comunicati delle forze dell’ordine era un fiorire di raptus, drammi di gelosia, ritorsioni amorose. Oggi il termine è ampiamente usato, ma Vanessa Zappalà, l’ultimo nome in un elenco che si aggiorna con frequenza maledettamente regolare, dimostra che il lavoro da fare per spezzare questa catena è ancora lunghissimo.

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26 Agosto 2021, 06:03

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