26 Agosto 2017, 12:02
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Estate. Stagione calda, assolata e spensierata. Spiagge brulicanti di corpi nudi e felicità ostentata come se piovesse. Trascorriamo un anno anelando le ferie e quando queste arrivano ci sfiniamo sotto un sole cocente implorandone, segretamente, la fine. Dietro questa forsennata ricerca del divertimento a ogni costo molto spesso si cela un profondissimo senso di noia. Una noia così manifesta che a volte sembra consumare tutto e tutti, specie gli esseri che più di tanti altri con il tempo ci sono venuti in fastidio: noi stessi.
In questo clima che spazia tra la noia avida e feroce e quella plumbea e sorda, si collocherà benissimo l’excursus danzante che faremo sulle feste di noia e divertimento, di pacchianate e raffinatezze.
Quella delle feste è, soprattutto in Sicilia, una condanna prevalentemente legata all’azzurro mare d’agosto ma a differenza di una condanna qualunque questa è ammantata di beltà e allegria, di entusiasmo e spensieratezza. Il piacere di una festa non sta, principalmente per una donna, nel piacere della festa in sé. Vi è generalmente un piacere sotteso del prima: “Come ti vesti? Cosa portiamo? C’è un dress code?”; e ancor più pruriginoso il piacere del dopo: “Ma hai visto com’era vestita quella? E poi il cibo… orrendo!”. Ai denigratori per costituzione faranno coro i buonisti intransigenti. Questi troveranno tutto perfetto e serviranno, per la famosa contrapposizione che crea dibattito, ad alimentare il senso delle estenuanti mattinate di sole, sabbia e mare.
Ultimamente gli inviti, rigorosamente recapitati attraverso gruppi whatsapp, riportano l’incipit iniziale del “save the date”, perché noi siamo esterofili e quindi non possiamo scrivere “ricordati di venire”, no! Vi è sempre un magnificat d’oltremanica che rende più glamour ogni evento.
Risolto il problema della traduzione, al messaggio seguono le indicazioni base: data, luogo, ora e nella peggiore delle ipotesi il tema della festa. Nell’imposizione di un tema si concentra tutta la cattiveria dell’ospite, una sorta di “la festa è mia e decido io come vestirvi di ridicolo”. Le più inflazionate sono “total white”, “total black”, “total qualcosa”. Qualcuno più brillante si allarga in paillettes, anni 20, anni 30, anni 40, 50, 60, 70… Gli anni 80 non piacciono a molti quindi nessuno li mette in conto. Inutile dire per quanti giorni la chat in oggetto pullula e brulica di messaggini, commenti, faccine che mandano baci e cagnolini a cui batte un cuore rosso.
La festa naturalmente presuppone il regalo e c’è sempre qualche premurosa signora che, sottraendo almeno cinque o sei ore della propria giornata alla vita, decide di immolarsi per risolvere l’intricata questione del “che cosa portiamo?”. Certo, ultimamente mi viene un po’ da pensare che se ritornassero gli elegantissimi mazzi di fiori le feste dell’azzurro mare d’agosto si dimezzerebbero e i fiorai vedrebbero un rifiorire della loro attività. In estate però, siccome la vita delle signore immolate al regalo è più frenetica (bagno la mattina, granita a pranzo per non ingrassare, corsetta al tramonto e cene come se piovesse) si opta per il “raccogliamo alla festa” e lì si concretizza il trionfo della grossolanità: intanto si cerca il raccoglitore di denaro come un pusher in discoteca, poi ci si apparta, si tira fuori il contante guardandosi a destra e sinistra con aria circospetta.
L’invito di solito è per le 21, ma se non sono le 22 nessuno mette in conto di andare, perché? Mistero. Probabilmente arrivare puntuali dà la sensazione del “non avevo cosa fare e sono venuto presto”. Di fatto prima di una certa ora la festa non decolla mai.
L’ambientazione estiva è pressoché sempre uguale: fiaccole e candele, buio di sottofondo, musica dal vivo anch’essa di sottofondo, champagne o bollicine (è tutta una questa d’argent), caftani, camicie fuori dai pantaloni. Ma soprattutto, elemento sostanziale è il cibo. Per il principio famoso del “dimmi come mangi e ti dirò chi sei”, il cibo in queste feste rispecchia il carattere e la vita del padrone di casa. Capiterà quindi di vedere apparecchiato un buffet di crudité, ostriche, gazpachi, gamberoni di tutti i tipi, imperiali, reali, principeschi e anche plebei, tartare di tonno, di salmone, di ricciola. Insomma: una strage marina. Un buffet del genere sarà indicativo di una serata molto chic, una di quelle serate dove sei costretto a parlare piano, dove racconterai che l’acid jazz ti interessa moltissimo e dove, con misura, assaggerai piuttosto che mangiare, innaffiando tutto con un ottimo Chardonnay la cui annata ti dirà qualcosa di importante.
Questo tipo di feste non diverte di per sé ma alimenta la conversazione dei giorni successivi. “Hai visto che organizzazione la festa di ieri sera? Quel trionfo di crudité? E quel complessino jazz… tutto stupendo”. L’esaltazione di solito si manifesta il giorno dopo, a mare, accanto alla sdraio dell’escluso di turno che ostenta un totale disinteresse e invece ascolta, avido e incuriosito.
Viene poi il turno della cena un po’ salutista, macrobiotica e vegetariana, in alcuni casi ridotta al parossismo dei vegani. La padrona di casa di solito è radical-chic, ama la solitudine, non è abbronzata perché il sole rovina la pelle, si cosparge di olio d’oliva e non di creme, beve acqua e limone per depurarsi, le ripugna l’acqua frizzante, riconosce satana nella Coca-Cola e vede nella carne il concentrato dei sette peccati capitali. Soggetti così sono suscettibili, appaiono calmi e rilassati eppure se confondi la quinoa con il bulgur potrebbero imbracciare un kalashnikov e lasciarti lì stecchito, con un germoglio di soia in mano. Per lo più le loro case sono interamente arredate con materiali di recupero, non c’è una porta uguale a un’altra, non c’è una tavola in asse con un’altra. Si mangiano cibi esotici e a chilometro zero (strano penserete voi eppure bisogna assecondarli). Si contemplano le stelle cadenti ma soprattutto si brancola nel buio: la luce che l’energia solare ha prodotto durante il giorno, appena arrivano i primi ospiti per principio si esaurisce. E sistematicamente qualcuno inciampa in queste tavole di legno del Madagascar e si rovescia addosso magai uno champagne metodo classico senza solfiti, solfati, senza uva, senza zucchero, senza vino. Poi tutti fanno finta di incantarsi sul cibo senza cibo, sulle pedane dei supermercati trasformate in divanetti, sulle amache di iuta dove non ti sdrai perché tanto sei certa che non ti potrebbero reggere.
Però, in virtù del fatto che non esiste amore senza scandalo e follia, i macrobiotici della festa verso le 23.50, scandalizzando una platea affamata, impazziscono e cominciano a tirare fuori la torta sulla quale non si deroga; evviva l’amore e vaffanculo ai macrobiotici. C’è di tutto: panna, crema, liquori, fragoline, pure i coriandoli anni 80. Il festeggiato di turno si ostina a spegnere tutte le candeline con il rischio che i pompieri arrivino convinti che l’incendio sia già divampato e finalmente, augurandosi un anno pieno di meraviglie, stranezze, solitudine e macrobioticità, ci si saluta. Affettuosamente.
Terza e ultima festa in elenco, devo dire la più tristemente inflazionata , è il “dopo cena con ballo”. Questa, innanzitutto, si porta dietro un dilemma da fare impallidire Shakespeare: “Mangio o non mangio?”. Superato il primo dubbio, si pone davanti la mestizia della consapevolezza. Subentra quindi, sul volto esausto dal sonno e nella mostruosa noia che si fa strada, la rassegnazione cristiana del volere supremo: si balla! E se durante la festa provi a sfuggire al tuo destino, la padrona di casa si avvicina e con fare imperioso e brutale, scandendo due monosillabi con austera solennità – “bal-la” – ti costringe, tuo malgrado, a trascinare le stanche gambe e conquistare la pista con un entusiasmo di leopardiana memoria. Ed è qui che si concentra la bellezza dell’essere umano.
Di fronte agli U2 di sottofondo o agli Abba, nessuno guarda più in faccia nessuno. Non c’è età che tenga, non c’è sesso, non c’è religione. Una discoteca privata in ogni casa risolverebbe qualsivoglia problema razziale, religioso e culturale. I giovanissimi si scatenano con gli agé, gli agé dal canto loro ringiovaniscono sotto le luci psichedeliche, ogni tanto scappa un passo di valzer sotto una Raffaella Carrà anni 70 ma i toni si riprendono subito e il dj riconduce i danzanti a un Gabbani 2017 che miracolosamente conoscono tutti (non solo i bambini).
Ci sono le signore chic, che ballano tendenzialmente con il mojito in mano (loro non si scatenano per una vastità di ragioni: il mojito innanzitutto, poi il sudore che rovina la piega, il vestito che si sgualcisce, le scarpe scomode, ma soprattutto la chiccheria, meno ti dimeni più chic sei). Ci sono poi le ballerine incallite, quelle che il mojito lo hanno fatto fuori prima e alla musica attribuiscono il ruolo salvifico di evasione pubblicamente riconosciuta. Queste invadono la pista come ancelle di bacco e sotto i fumi dell’euforia si lasciano andare al ritmo incalzante di una taranta locale. Viene il turno dei ballerini provetti. Questi sono dei sostenitori del ballo di coppia sopra ogni cosa. Se a loro togli il piacere del “paso doble” hai tolto il piacere della festa. Stonano per lo più, si piazzano al centro costringendo una platea intera a farsi cerchio intorno, ma loro godono beatamente e si compiacciono dei loro passi felpati, della sensualità dei loro movimenti e del ritenersi i più invidiati del glorioso consesso. In loro ravviso il piacere dell’autocelebrazione e ne provo una sana invidia.
Ultimi ma non per ultimi, le tappezzerie incoercibili. Sono pressoché insopportabili nel loro pruriginoso conversare indicando, senza tante vergogne, i passi di uno o le sgraziate movenze di un altro. Stanno lì come Catone il Censore e censurano, per l’appunto, ogni dettaglio, ogni movimento intravedendo in ogni gesto una ragione profondissima e freudianamente controversa. Dalla loro amabile bocca si scatenano tutte le forze della natura, nessuno rimane esente, nessuno si salva. E in fondo se anche loro, miracolosamente, dovessero sparire, inghiottiti da chissà quale girone dantesco, anche il sapore amaro del pettegolezzo estivo perderebbe di intrigo e curiosità.
Cerchiamo quindi di sfuggire alla noia divertendoci e nel divertimento ritroviamo sempre il trionfo della noia. Eppure in questi agosti caldi che sanno di pelle abbronzata, di sale e notti brave, che profumano di mare, di raggi di luna e oli d’oriente continuiamo a consumare la nostra vita con un solo, triste e sognante desiderio; parlarne l’estate successiva con quella molle e velata tristezza della quale amiamo farci contorno. Siamo fatti così: eterni insoddisfatti. Aspettiamo sempre domani per avere nostalgia.
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26 Agosto 2017, 12:02