28 Novembre 2011, 10:30
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Ogni città ha i suoi scenari stabili. Alcuni sono immobili come il Duomo a Milano, il Colosseo a Roma, la Torre degli Asinelli a Bologna, San Giovanni degli Eremiti a Palermo. Altri sono stabili, ma mobili. Si tratta di elementi storicamente e per tradizione allocati ad horas sempre in un luogo, ma dall’aspetto mutevole. A Palermo scenario stabile, ma mobile, sono le prostitute sui marciapiedi del porto.
Le nostre leggi regolamentano il sesso con alcune norme. Al di sotto dei quattordici anni è consentito se tra i due la differenza di età non superi i tre anni, mentre al di sopra dei quattordici l’unico requisito è che sia consensuale, qualunque sia la differenza d’età. Vi è invece il divieto di avvalersi di prostitute minorenni, come pure vi è il divieto di adescamento, favoreggiamento e sfruttamento. Infine, nel 1958, approvata la legge proposta dalla senatrice socialista Lina Merlin, furono chiuse le “case chiuse”, così chiamate perché dovevano tenere serrate le persiane delle finestre. A patirne le conseguenze, oltre alle “signorine” costrette ai marciapiedi, vi furono i flanellisti e cioè quegli uomini che, non potendo pagare, si soffermavano nei casini soltanto a guardare, a fare flanella per poi provvedere agli istinti in economica autonomia.
Poiché non riesco ad occuparmi soltanto degli affari miei, un giorno chiesi ad una prostituta se non temesse il futuro giudizio dei suoi figli. “Ci lassu i casi” (gli lascio gli appartamenti), mi rispose. Fui servito ed ebbi le idee più chiare sul senso dell’essere figlio di puttana. La medesima mi sottolineò anche un vulnus della categoria. Infatti, la “liberalizzazione” dei costumi sessuali, sulla scia degli “affittasi”, “vendesi” e similari, vedeva l’immaginario avviso pubblico sulla disponibilità all’amplesso recare ormai la scritta “dàndola”, mentre prima era rigorosamente “véndola”. Gratuità e mercato non andavano d’accordo e danneggiavano la sua categoria. Colpa del ’68. Dinanzi alla filosofia peripatetica decisi di prendermi una rivincita. Le chiesi se sapesse quale fosse l’uomo più virile. Ovviamente mi diede una risposta di quantità, ma si emozionò visibilmente quando le spiegai che, contrariamente alle leggende metropolitane, l’uomo più virile era colui che andava sempre con la medesima, con la moglie, e che non aveva necessità di emozioni da novità. “Ma ce n’è pochi”, commentò e al suo essere femmina si aggiunse la donna. Chissà, forse lei conosceva il segreto della felicità maschile; quello che nasce dall’avere una compagna che ne vale almeno tre: ottima cuoca in cucina, vera signora in salotto, femmina da letto in camera.
Sono pochi i centimetri che separano una prostituta da chi non lo è. Qualche mese addietro attendevo in auto, lungo il marciapiede che costeggia il porto di Palermo, un amico. Era sera. Nella mia direzione avanzava una fanciulla. Bella, semplice, “estiva”, con le infradito ai piedi. Recava in mano un sacchetto di plastica. L’ammiravo. Si fermò quasi all’altezza della mia automobile. Così potei vederla appoggiarsi al muretto. Cavò dal sacchetto le scarpe, avevano i tacchi a spillo e le calzò. Era divenuta una bellissima puttana. Rimasi frastornato. Poi gli occhi furono attratti dal retrovisore. In quei pochi secondi ero divenuto il primo di una lunga fila… Bigottamente fuggii.
Lì i due tacchi avevano fatto la differenza. Lo stabile scenario mobile di Palermo aveva aperto il sipario. Ma perché parlare di prostituzione? Per riflettere su quella dei cervelli, scenario su cui si avverte pressante la carenza normativa… Per passare da una identità ad un’altra, in fondo, bastano pochi centimetri.
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28 Novembre 2011, 10:30