28 Marzo 2015, 19:59
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Profetizzò Massimo D’Alema, dall’alto della sua riconosciuta sapienza marinara: “E’ rischioso essere il delfino di un pescecane”. La frase si riferiva a Berlusconi e Alfano, in ruoli facilmente intuibili. La metafora ittica potrebbe essere leggermente modificata secondo la lezione che i tempi hanno impartito. Ad allontanarsi da Silvio si finisce spiaggiati, proprio come incauti delfini sull’arenile.
Il catalogo è questo. Di Gianfranco Fini, già indicato quale erede, rimane ai posteri un video di repertorio, una baldanza d’amarcord: quel dito puntato, quel moto di ribellione, quell’increspatura labiale, decrittata dagli esperti: “Che fai? Mi cacci?”. Non ce ne fu nemmeno bisogno. Gianfranco si esiliò in solitudine nella sua personalissima ridotta Mirabellina. Passò con la velocità di un lampo, tra Futuro e Libertà, demolito, nel suo riverbero pubblico, dalla vicenda della casa di Montecarlo. Ma la storia era già terminata prima, per irrilevanza. Nessun satellite sopravvive lontano dal suo mondo di riferimento. Eppure, era Gianfranco Fini, uno che avrebbe avuto i numeri per costruire un centro per richiedenti asilo di destra. Malamente, malinconicamente, finì.
Di Pierferdinando Casini c’è ancora nell’aria un incenso evaporato di congressi Dc e sacrestie. Forlaniano di razza, approdò alla corte berlusconiana, pure lui con la scomoda pinna caudale del delfino designato. La rottura si consumò per la suggestione di creare un regno per conto proprio: se c’è qualcosa che accomuna tutti i reucci ereditari è il sogno impossibile del regicidio. Pierferdinando voleva rifare la Balena bianca, navigando sulla rotta del centrismo.
Sostenne Monti, poi lo mollò, quando si rese conto che il professore Mario non somigliava per niente allo zio Arnaldo. Ora, il centro è occupato dal premier – che invariabilmente occupa centro, destra o sinistra -, non sussistono spazi di manovra. L’ultima giravolta è il rinnovato accostamento a Silvio. In un’intervista al ‘Giornale’ di qualche mese fa, Casini dichiarò: “Sono fiero di essere uno dei pochi a non avere avuto mai nulla di personale contro Berlusconi e credo che la politica sia dialogare con tutti, in particolare con chi è fondamentale per le riforme”. Tuttavia, è difficile che la Storia ripassi due volte nello stesso mare.
E che dire del siciliano Gianfranco Micciché, dalla reputazione di pupillo di Berlusconi, fino al celebre – e sempre smentito dai contraenti – patto delle crocchè che avrebbe regalato a Crocetta lo scranno di Palazzo d’Orleans? Oggi il contrappasso di tanto agitarsi, per l’altro Gianfranco, è un anonimato, interrotto da gocce di silenzio.
Questo è il catalogo che Angelino Alfano dovrebbe considerare per trarre una morale dal suo percorso, pensando alle retromarce totali e parziali che gli sono costate sonore sconfitte: le dimissioni di Lupi, i tentennamenti sulla prescrizione, l’avere abbozzato su Mattarella Presidente, dopo la retorica della faccia feroce.
Anche lui da satellite che era volle farsi mondo a sé. Anche lui praticò la strada del distacco per approdare alla singolare alchimia di un marchio di centrodestra che appoggia in pianta stabile un governo di centrosinistra. Di più: Ncd è ormai una costola del Pd, una sub-corrente che forse conta meno di Cuperlo sul terreno delle idee e del confronto. D’accordo, ci sono le poltrone. C’è la tattica sperimentata dell’aggrapparsi a una figura più grande, per conservare scampoli, rimasugli da sbocconcellare, molliche da mettere a frutto. Ma i malumori sono onde gigantesche. E contrarie.
“Fa acqua da tutte le parti, ma non resta mai all’asciutto. Non è sfiorato da dubbi né conosce amletismi, non è molto vendicativo né troppo permaloso, sa badare al sodo, e quello che conta alla fine non è nemmeno vincere alle elezioni, ma appunto restare in equilibrio, infilarsi come un tubo di gomma nel primo anfratto disponibile tra le pieghe del potere. Dovunque esso si trovi a scorrere”. Così ‘Il Foglio’ ha descritto i tratti somatici di Alfano. Ritratto non privo di un certo riconoscimento umano, perfino amichevole nell’auspicio. Finché l’acqua scorre… Quando, invece, si ferma, ecco che il delfino si arena sul bagnasciuga dell’irrilevanza.
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28 Marzo 2015, 19:59