10 Febbraio 2017, 05:11
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PALERMO – Si diceva convinto che “le indagini della magistratura” avrebbero confermato “la mia coerenza, il mio rigore morale e la mia affidabilità di uomo e politico”. Riccardo Nuti affidava a un post su Facebook la sua difesa nell’inchiesta sulle firme false del Movimento 5 Stelle. Quel movimento in cui era stato uno dei rappresentanti più ortodossi. Ora quegli stessi magistrati da cui si attendeva di essere scagionato lo definiscono l’”istigatore” del pasticcio in occasione delle elezioni palermitane del 2012. Persino Beppe Grillo all’inizio si era fidato di lui. Poi, arrivò l’epurazione all’indomani dell’avviso di garanzia e dell’interrogatorio.
Sono quattordici gli indagati. Da Nuti al cancelliere del Tribunale che mise il timbro sulle firme falsificate quando nella piccola sede elettorale di via Sampolo candidati e attivisti si accorsero di avere trascritto in maniera errata il luogo di nascita di un candidato nella lista da presentare in Comune. Non facevano in tempo a raccogliere di nuovo le firme dei cittadini e allora avrebbero deciso di ricopiarle, commettendo un falso che viola le norme elettorali stabilite da una legge nazionale del 1960 e recepite anche in Sicilia.
“Le firme autentiche dei sottoscrittori” della lista del Movimento 5 Stelle alle Comunali di Palermo del 2012 furono così ricopiate su nuovi moduli “su istigazione e previo concerto con Riccardo Nuti”, capolista e candidato a sindaco. Così scrivono il procuratore aggiunto Bernardo Petralia e il sostituto Claudia Ferrari nell’avviso di conclusione delle indagini.
A sostituire i moduli con le firme ricopiate e dunque false sarebbero stati Samanta Busalacchi (ex collaboratrice del Movimento alll’Assemblea regionale siciliana), Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca (deputati regionali), Giulia Di Vita e Claudia Mannino (parlamentari nazionali), i candidati alle comunali Stefano Paradiso, Giuseppe Ippolito, Ivan Ferrante e Alice Pantaleone, e gli attivisti Pietro Salvino (marito della Mannino) e Riccardo Ricciardi (delegato della lista). E sempre loro consegnarono la documentazione alla segretaria del Comune di Palermo dopo avere fatto il passaggio decisivo in Tribunale. Qui sarebbe entrato in gioco il cancelliere Giovanni Scarpello, l’uomo che avrebbe apposto sulla lista “una falsa attestazione di conformità”. Scarpello “su istigazione di Francesco Menallo”, avvocato e candidato alle elezioni, certificò che i cittadini avevano firmato in sua presenza. Falso, sostiene l’accusa, come le stesse firme.
Decisive per le indagini sono state le collaborazioni di La Rocca, Ciaccio, Paradiso e Ippolito. Hanno raccontato ciò che avvenne la sera della ricopiatura. Alcuni ne avevano parlato con il parlamentare regionale Giampiero Trizzino, che ha confermato la circostanza ai pm che lo hanno sentito come persona informata. E lo aveva saputo pure Giancarlo Cancelleri, altro componente della truppa grillina all’Ars, che però, così ha detto ai magistrati (anche lui nella veste di persona informata sui fatti) aveva ricevuto smentite da coloro ai quali si era rivolto per chiedere chiarimenti.
Molti sapevano e nessuno parlava. Fino a quando un esposto anonimo fu spedito alla trasmissione Le Iene e alla Procura della Repubblica che iniziò a indagare. L’anonimo è rimasto tale così come “le altre persone non identificate” che parteciparono alla ricopiatura. Di certo era qualcuno dei presenti alla falsificazione, confermata dai periti dell’accusa. Troppi i particolari che descriveva, poi confermati dall’attivista Vincenzo Pintagro e da chi ha deciso di collaborare con la giustizia. Per i pm di Palermo il caso è chiuso. Presto chiederanno il processo per gli indagati che adesso hanno la possibilità di farsi interrogare di nuovo – la stragrande maggioranza si era avvalsa della facoltà di non rispondere – o di presentare memorie difensive.
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10 Febbraio 2017, 05:11