Firrarello si racconta |”Un contadino al Senato”

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18 Gennaio 2013, 11:42

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CATANIA – “Per noi storici è un’occasione ghiotta”. Parola di Enrico Iachello, uno degli attuali candidati alla carica di magnifico rettore dell’ateneo catanese. Ma anche e soprattutto parola di uno storico. É quello, infatti, il giusto approccio che si deve avere per leggere ‘Un contadino al Senato’ (Maimonide Editore), l’autobiografia del politico e giornalista siciliano (non tutti lo sanno, ndr) Pino Firrarello. Si sa, ci sono libri e libri. Ma non tutti vanno maneggiati alle stessa maniera. É una questione di sguardo, di gittata. Se il giornalista ha l’obbligo di pensare al quotidiano, ed il politico (non lo statista) al quinquennio che intercorre tra una tornata elettorale e l’altra, allo storico è chiesto invece di andare oltre: di mettere assieme dei frammenti di realtà per consegnare agli uomini un quadro unitario. E di frammenti in questo libro ce ne sono tanti: duecentocinquantasei pagine di storia politica isolana raccontati con dovizia di particolari. C’è tutto, da agli anni di Rino Nicolosi a Tangentopoli, da Cuffaro a Lombardo (il nemico di sempre), passando poi dal “61 a 0” fino al collasso del centrodestra.

Il libro di Pino Firrarello, dai più conosciuto semplicemente come “il senatore”, un titolo che mette assieme timore e rispetto, è in primo luogo una testimonianza. Anzi, più testimonianze messe assieme. La prima è ovviamente personale, Firrarello racconta sé stesso senza risparmiarsi, anzi con l’aggiunta di alcuni corsivi dal vago sapore sapienziale; la seconda, è chiaramente politica: il libro in questione è un racconto, molto poco ovattato, della Dc siciliana e dei suoi figli in diaspora, tra trame, strategie e duelli interni; in ultimo luogo, questo libro è una testimonianza doppiamente politica: Firrarello ci regala uno sguardo sulla cosa pubblica, anche siciliana, partendo da Roma, da Palazzo Madama appunto.

Ma chi è Pino Firrarello? Un contadino in primo luogo. I suoi detrattori si compiaceranno di questa definizione. Ma lui, “il senatore”, la rivendica con orgoglio. La sua infanzia è da ‘vita nei campi’. É fatta di duro lavoro e privazioni. Le prime pagine del libro sono ricche di aneddoti e suggestioni dal vago sapore cinematografico. Un po’ alla Baària di Giuseppe Tornatore o alle prime puntate della fiction televisiva Capo dei capi. La realtà di San Cono, il paese di origine dei Firrarello, è simile a quella di tanti altri piccoli centri della Sicilia del dopoguerra: povertà, malattie e lotte contadine. Il retroterra di Firrarello è quello: una infanzia sacrificata. Chi vuole capire il personaggio, uno degli interpreti indiscussi – nel bene o non male – della politica isolana, deve passare necessariamente da questi dettagli. Altrimenti non si capisce l’origine di una laboriosità da molti definita fuori dal comune. Vale per tutti la testimonianza di alcuni dei suoi collaboratori che lo descrivono come una “macchina”, ma dal volto umano: “un ora di lavoro con lui, è come una settimana con chiunque altro”.

Ma Firrarello è sopratutto un politico, per molti aspetti vincente. Chi si aspetta di trovare dei retroscena è accontentato. Ce ne sono tanti, tantissimi, forse anche troppi e troppo in anticipo rispetto ai tempi della Storia propriamente detta. Certo, leggendo il libro, l’idea che la politica siciliana sia soprattutto beghe e tatticismi è confermata. Firrarello si auto-racconta come un interprete di questi meccanismi, fatti di accordi, clientele e “amicizie”. Lo fa con un tono disincantato, carico di concretezza. Il suo racconto è libero da qualsiasi giudizio qualunquista o auto-assolutorio. Semmai viene presentato un quadro disincanto, senza ipocrisie ed edulcorazioni. Per molti aspetti spiazzante. Una sorta di Leonardo Sciascia paradossale. Lui stesso parla più volte di “errori”. È questa la parola ricorrente di questa autobiografia. E li addebita tutti a sé, come la mancanza di una certo grado di “cinismo”. Il che lascia di sasso il lettore, anche quello più scafato.

Chi si aspetta però delle sfilettate contro l’alter-ego Raffaele Lombardo è presto accontentato: “Non ritenevo opportuno compromettermi con un uomo che mostrava di non voler rispettare le regole della sana politica, la parola data, gli impegni assunti, le regole condivise”. E ancora: “L’On. Mannino, alla corte del quale era cresciuto Lombardo, mi avvertì che il limite di quest’uomo era proprio quello di non aver limiti”. Ed in ultimo: “Ovunque mise piede, direttamente o no, negli anni dal 2001 al 2008, Lombardo lasciò il segno della corruzione politica e dell’asservimento al suo Partito”. Qualcuno si aspetterà certo una contro-offensiva da parte di Lombardo. Ma il torcicollo delle politica siciliana ha riservato loro una tregua che ha tutto il sapore della beffa, quella cioè di essere di nuovo alleati sotto la benedizione interessata di Silvio Berlusconi.

Chi leggerà il libro sotto queste elezioni, avrà appunto la sensazione che uno o due capitoli debbano ancora essere scritti. Quelli appunto sugli assetti del postvoto. Ma lui, Firrarello, forse proprio con questo libro, sembra aver consegnato il suo testamento politico. Forse non verrà più candidato al Senato della Repubblica. Anzi è probabile che sia così. Ma questa prospettiva non sembra affatto inquietarlo (ai suoi sodali invece sì). Infondo la politica che lui ha cavalcato per quasi sessant’anni, è stata superata da una mediaticità che la sua generazione non aveva l’obbligo di rappresentare. Gli resta comunque da concludere il mandato da sindaco di Bronte, che non è poco.

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A tal proposito, Firrarello ha riferito a LiveSiciliaCatania, con una calma ieratica, quasi da prelato: “Forse guarderò la politica da osservatore”. La prima osservazione consegnata ai nostri lettori è proprio sullo stato di salute della politica italiana: “Ora non c’è politica. Questo non è sicuramente uno dei periodi migliori della vita italiana, io personalmente – ha continuato- sono convinto che ci si avvii ad una riorganizzazione della società. Questa riorganizzazione della società non la faranno né i giudici, né i critici, ma necessariamente la dovrà fare la politica. La politica – ha sottolineato- deve ritornare ad impossessarsi del proprio ruolo perché è l’unico modo per essere al centro di tutto ciò che è interessa la società. In questi anni – ha concluso- non siamo stati sufficientemente capaci”.

 

 

 

 

 

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18 Gennaio 2013, 11:42

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