06 Dicembre 2013, 20:44
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Il prezzo che paghiamo dal benzinaio e che pagheremo in un lungo week end di assalto ai supermercati ha lo stesso valore della nostra paura. E’ un costo economico di pieno alla macchina, di merce accatastata sui carrelli. E’ una piaga psicologica: l’incapacità dell’ottimismo, la prigionia del pessimismo, l’impossibilità della fede. Non si entra nel merito della protesta dei Forconi e degli eventuali disagi: sarà cronaca dei prossimi giorni. Non si giudica nemmeno la lungimiranza di chi non vuole trovarsi a secco, né col frigorifero vuoto e cerca perciò di cautelarsi con moderazione.
E’ la psicosi a regnare e a finire sotto i riflettori per l’urgenza della sua esplosione. La corsa all’estrema scatoletta di tonno o all’ultima goccia di carburante, come se domani il mondo dovesse finire. Noi ci comportiamo da sopravvissuti in un’epoca oscura che volge al tramonto con tutti i destini intrappolati nel suo tempo. Non è la prudenza il vero problema. E’ il terrore. Che ha due riflessi tangibili. Nell’era sofisticata dei mezzi di comunicazione, basta un semplice annuncio per scatenare reazioni primitive, la fuga verso l’accaparramento senza altri pensieri che non siano spie accese nello stomaco dalla fretta e dal panico.
Ma la paura è anche la figlia primogenita di una crisi troppo lunga, il suo sintomo, il suo inizio, con la sua disperazione individuale. Tutto è cominciato altrove, non con lo spread, non con la borsa. E’ cominciato quando abbiamo smarrito, moltiplicando le nostre solitudini ricchissime di immaginazione, la nozione collettiva di un mondo migliore, più giusto, con un respiro sereno. Oggi paghiamo il prezzo della nostra viltà, nell’unica forma di condivisione che conosciamo. Il gregge che non sa più dove andare.
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06 Dicembre 2013, 20:44