17 Ottobre 2016, 05:58
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PALERMO – Che fine ha fatto il presidente? Dove è finito Rosario Crocetta, il moralizzatore? Quello che avrebbe liberato la Formazione professionale dai vecchi vizi? Al momento, al massimo, Crocetta ha liberato il settore a qualche vecchio volto. Anzi, a dire il vero non è stato nemmeno lui. Nonostante il governatore si sia assunto il merito – senza incontrare obiezione alcuna – nelle sacre sale di San Macuto, in commissione Antimafia, di aver dato il via a inchieste sulle quali lui c’entra poco o nulla.
Ma adesso, il presidente dov’è? Di fronte a quanto sta accadendo nel settore che avrebbe dovuto purificare grazie all’intervento salvifico della giovane Nelli Scilabra, il presidente perché non parla? Perché ad esempio non dice nulla sugli strani casi di militanti politici vicini all’assessore alla Formazione, impegnati nell’organizzazione di corsi persino per enti diversi? E perché nulla dice sui consulenti di Faraone ancora dentro le graduatorie milionarie dei progetti? E perché nulla dice, ad esempio, degli enti vicini a un altro assessore come Antonello Cracolici, ad altri pezzi del Pd, il suo partito, o di qualche alleato come l’Udc? Perché Crocetta sta zitto?
Eppure, proprio il mondo dei corsi era stato uno dei cavalli su cui ha lanciato l’affondo contro la vecchia Regione dei compromessi e delle relazioni pericolose. Aveva iniziato, tanto per gradire, puntando il dito contro gli stessi dipendenti regionali, con rotazioni inizialmente apparse come un atto davvero rivoluzionario, ma trasformatesi presto in deportazioni insensate. E persino dannose. Perché dopo l’innesco mediatico dell’atto amministrativo, come sempre tutto si è fermato, mandando in tilt gli ingranaggi della burocrazia. Come gli ha fatto notare, del resto, qualche dirigente a lui vicino: “Qui in dipartimento non c’è più gente sufficiente”. Ma Crocetta, avviate e pubblicizzate le rotazioni, era già impegnato altrove, mentre queste languivano, si fermavano, ingolfano gli assessorati.
Ma nel frattempo il governatore si appuntava la medaglia del moralizzatore. Di quel settore della Formazione dove operava quel “monello” di Francantonio Genovese. Una scoperta per tutti, quando la trasmissione Report rappresentò televisivamente quello che i giornali – compreso questo – raccontava ormai da anni, stancando quasi i lettori. Il presidente in quell’occasione si svegliava e lanciava fulmini e saette contro quei signori della Formazione. Gli stessi, tanto per gradire, che hanno fatto campagna elettorale proprio per lui, nel Messinese, contribuendo all’elezione del moralizzatore. Che, giusto per non dimenticare nulla, proprio in giunta piazzava un uomo vicino a Genovese, cioè Nino Bartolotta alle Infrastrutture. Assessorato non troppo lontano dai legittimi interessi di qualche imprenditore non certamente nemico di Genovese.
Venne il giorno però, che il governatore dal “fiuto sbirresco” si accorse che Genovese aveva interessi nel mondo della Formazione. Apriti cielo. È partita la lotta senza quartiere, ovviamente di natura solo mediatica, contro quel settore. Una lotta che si è risolta in una semplice estromissione di migliaia di lavoratori. Giusto, sbagliato? Questo è un altro discorso. Di certo c’è che altri risultati, questa moralizzazione non ha raggiunto. E per carità di patria ci limitiamo ad accennare agli errori nella firma del regolamento sugli accreditamenti, alla pioggia di sentenze che hanno condannato la Regione sull’albo dei formatori, agli atti ingiuntivi che hanno sommerso l’assessorato.
In molti casi le ombre non sono scomparse, ma hanno semplicemente mutato forma. Basti pensare alla tragicommedia del “click day”. Non solo fallito per l’incapacità amministrativa di chi l’ha portato avanti o dell’azienda incaricata dagli stessi amministratori, ma anche naufragato tra i veleni incrociati della politica, cioè Nelli Scilabra, e della burocrazia, ovvero Anna Rosa Corsello. Con tanto di sospetti sulle assunzioni che avrebbe voluto l’assessore in una società del Ministero del lavoro (l’accusa della dirigente) o sull’assunzione della figlia della stessa dirigente in una società destinataria di affidamenti dalla Regione (le accuse piovute dall’assessorato).
Una guerra che non ti aspetti, dopo tre anni di moralizzazione. E invece, quella moralizzazione si è fermata, come sempre, sulla soglia delle convenienze politiche, dei rapporti personali. Quelli, ad esempio, che hanno spinto Crocetta a tenere vicino per anni (e al vertice del dipartimento Formazione) non solo la Corsello già gravata da inchieste sull’uso dell’auto blu e sui cosiddetti “doppi incarichi”.
Ma soprattutto mantenendo al proprio fianco la dirigente che ha svolto un ruolo da protagonista, in un modo o nell’altro, proprio negli anni della “Formazione malata”. Patrizia Monterosso, però, è accanto al presidente. Nessuno, come lei. Al vertice della burocrazia regionale e adesso “signora” persino di Irfis, la mega-banca regionale. Tutto questo nonostante una condanna contabile a 1,3 milioni di euro proprio per i finanziamenti nella Formazione e mentre procede una inchiesta per un mega-peculato. L’accusa? Aver imposto agli enti di formazione la restituzione di somme erogate in passato, anche quando lei era dirigente generale della Formazione. Crocetta in questo l’ha difesa, con lo stesso furore col quale ha sputtanato in passato nemici politici o semplici strumenti per la sua propaganda moralizzatrice. Che ora è spenta. Un silenzio che avvicina Crocetta a tutti gli altri. Un silenzio che suggerisce il dubbio che la moralizzazione sia stato solo un gioco di potere. E che in fondo, oggi, anche in quel settore brutto, sporco e cattivo, ci sia più di un ente gradito, simpatico persino a Palazzo d’Orleans.
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17 Ottobre 2016, 05:58