12 Maggio 2015, 19:56
4 min di lettura
PALERMO – “Oggi siamo qui. Con un partito che rischia di esplodere. Un patrimonio buttato dalla finestra. Un futuro incerto. E nemmeno un nome per definirci”. L’amaro epitaffio di un ex ministro berlusconiano coperto dall’anonimato sul Foglio riassume bene lo stato d’animo che aleggia nel partito. Il campanello d’allarme dei risultati di Trento, Bolzano e Aosta, con un partito che viaggia sul 5 per cento, è nulla rispetto a quello che si teme possa arrivare il primo di giugno con i risultati delle regionali. E con l’appendice delle amministrative siciliane, che non promettono molto di buono.
La tensione dentro Forza Italia c’è tutta, anche in Sicilia. E si mescola pericolosamente alla rassegnazione figlia della consapevolezza della fine di un percorso. Sui territori il caos è a macchia di leopardo. Ad Agrigento, dopo il pasticcio del patto col Pd, Forza Italia è finita per candidare il vincitore delle primarie del centrosinistra, quel Silvio Alessi patron dell’Akragas che paradossalmente è uno dei candidati azzurri più forti per questa tornata di amministrative. Dolori a Gela, dove il partito è andato in brandelli dopo la scelta di puntare sull’ex senatore Gioacchino Pellitteri. Parte della base ha sbattuto la porta, disperdendosi altrove. A Marsala invece, i forzisti hanno scelto di convergere sulla candidatura centrista di Massimo Grillo, ma anche lì i mal di pancia non mancano.
In tutto questo sarà complicato pesare l’effettivo risultato dei berlusconiani, visto che un po’ dappertutto i candidati di Forza Italia stanno confluendo in liste civiche. Di certo, in tanti stanno affilando i coltelli per il giorno dopo le elezioni, quando gli scontenti andranno al redde rationem contro la contestata leadership di Enzo Gibiino. Una lettera contro il coordinatore era già partita nelle scorse settimane, con le firme di una decina di big del partito, ma Silvio Berlusconi aveva stoppato la protesta chiedendo un armistizio fino alle regionali. “C’è un problema, ma è nazionale non certo siciliano. Non sono d’accordo con altri su questo punto, credo che Gibiino stia facendo un lavoro difficile, ma non gli si possono imputare le difficoltà del partito – commenta l’eurodeputato catanese Salvo Pogliese, protagonista dell’ultimo exploit elettorale dei berlusconiani -. Forza Italia sicuramente è stata penalizzata da alcune scelte non premiate dall’opinione pubblica, come il patto del Nazareno. È necessario ora pensare a una riunificazione del centrodestra, per via della legge elettorale che premia la lista più votata”.
È questa la strada a cui tutti sembrano guardare. Berlusconi ha parlato di “partito repubblicano” italiano, mutuando il modello americano. Altri guardano ai conservatori di Cameron, freschi trionfatori nel Regno Unito. Sono i fittiani, che hanno ormai un piede e mezzo fuori dal partito. In Sicilia il loro punto di riferimento è Saverio Romano, seguito dagli altri esponenti del Cantiere Popolare (Cordaro, Ruvolo, Clemente). I ricostruttori, dopo aver ripetutamente sparato a zero su Gibiino, guardano agli altri soggetti moderati del centrodestra che fu, da Tosi ad altri possibili futuri esuli di Forza Italia, passando per Corrado Passera e per quanti nel Nuovo centrodestra non si rassegnano all’attrazione fatale del Partito democratico.
Repubblicano o conservatore che sia, il partito “nuovo” è avvertito come un’esigenza. Il capogruppo Marco Falcone ne parla già al presente: “Noi stiamo lavorando da qualche settimana al dopo, immaginando anche un nuovo partito che possa interpretare al meglio le aspettative dei moderati. La prospettiva è un partito federale, che mette insieme diverse realtà locali. Iniziamo da un rinnovamento della classe dirigente”. “Ma una denominazione va riempita di un progetto – ragiona con la sua consueta concretezza il deputato regionale Giorgio Assenza -. Non si può escludere nessuno, né Salvini, né l’Ncd, anche se sono convinto che gran parte degli esponenti dell’Ncd è in procinto di passare armi e bagagli al Pd”. E poco importa se oggi Lega e Fratelli d’Italia sono tiepidi: “E’ normale volersi differenziare in campagna elettorale – osserva Pogliese -, bisognerà parlarne più avanti”.
Proprio il dialogo con le altre anime del centrodestra è una delle mancanze che mette in evidenza Francesco Scoma: “In questi mesi non abbiamo lavorato per costruire alleanze importanti. I primi risultati negativi a livello nazionali ci fanno capire che se vogliamo essere competitivi in Sicilia dobbiamo lavorare per un raggruppamento di partiti per tornare a vincere nelle città”.
Di mezzo c’è il voto del 31 maggio. Le regionali e il minitest siciliano. “In Sicilia non è un gran test politico – dice Assenza -, più importanti sono le regionali nel resto d’Italia. Dove non è detto che finisca 7 a 0”. Intanto, tra le macerie del centrodestra, gli “altri” si danno da fare. Come Nello Musumeci che lavora con dedizione al suo progetto sicilianista. C’è poi la pattuglia dei salviniani dell’ultima ora, e ancora l’Mpa, che resta in mezzo al guado. “Dobbiamo anche recuperare delle forze del vecchio centrodestra. Inclusa l’Udc, che non penso stia avendo un vantaggio dalla sua partecipazione al governo Crocetta”, dice Falcone. Per capirne di più bisognerà attendere il primo giugno, per conoscere gli effetti di un tracollo azzurro che i più danno per scontato e del quale ormai resta solo da quantificare la portata. E che probabilmente darà il via al big bang del centrodestra italiano.
Pubblicato il
12 Maggio 2015, 19:56