28 Luglio 2020, 05:00
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Se il settore fotografico era già in crisi da tempo, la pandemia da Covid 19 ha messo definitivamente in ginocchio un mondo che vive di servizi, cottimo e sorrisi. La quasi totale cancellazione di eventi in calendario da febbraio a oggi ha fatto scattare l’allarme estinzione. “Mascherine e distanziamento sono incompatibili con matrimoni, diciottesimi, congressi e tutte quelle occasioni in qui è richiesto il lavoro dei fotografi”, racconta a LiveSicilia Angelo Di Giorgio, titolare di uno degli studi storici di Catania. Una di quelle realtà che, se chiudesse, finirebbe nell’oblio una traccia importante della storia del costume, e non solo, della città.
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“Io sono l’ultimo rappresentante di una delle più antiche dinastie fotografiche d’Europa”, ci spiega con orgoglio. “Forse la mia storia personale – dice – può aiutare a portare all’attenzione del presidente Musumeci l’urgenza di provvedimenti ad hoc, lo Studio Di Giorgio esiste dal 1886, ha sospeso le sue attività solo per alcuni anni durante la Seconda guerra mondiale, ma forse non sopravviverà a questa crisi”.
Cosa chiedere alla politica? “La risposta del governo – continua Angelo Di Giorgio – non è in generale assolutamente all’altezza. La categoria dei fotografi non sembra neanche essere presa in considerazione. La Regione Siciliana, anche in virtù del suo status autonomo, potrebbe forse evitare la scomparsa di decine di studi fotografici in tutta la Sicilia, ma dovrebbe avere contezza della gravità di quanto avviene”.
Intanto c’è da fare i conti il dilagare dell’abusivismo, “contro il quale i veri fotografi professionisti sono praticamente impotenti, è urgentissima una legge che istituisca un’albo ed un percorso formativo obbligatori nonché sanzioni adeguate nei confronti degli abusivi”.
I problemi non prevengono soltanto dalla mancata attenzione dei governi nazionale e regionale. “L’Università di Catania – racconta – ha chiuso l’accesso ai fotografi professionisti in occasione della sessione di lauree in presenza di luglio, mentre a Roma e Perugia, e mi risulta anche a Palermo e Messina, invece sono riusciti a conciliare l’attività dei fotografi con le esigenze di sicurezza, non è una questione secondaria, in questo momento una tale decisione può affondare definitivamente diversi studi fotografici specializzati, non credo si tratti di cattiveria, semplicemente non ci si rende conto”.
Ma facciamo un salto nel passato e cerchiamo di capire chi sono stati i Di Giorgio per Catania. “Lo studio che ho l’onore di dirigere da ormai trentacinque anni – racconta – fu fondato da Giovanni Di Giorgio nel 1886, figlio di Vincenzo, garibaldino nominato delegato di pubblica sicurezza dopo la cacciata dei Borbone. Giovanni andò giovanissimo ad apprendere i segreti della nascente arte fotografica presso la bottega del fotografo di origini mantovane Raimondo Pellicciai, per qualche tempo fermatosi a Catania”.
“Talentuoso e dinamico – continua – Giovanni Di Giorgio sviluppò presto un suo stile personale che lo rese famoso e richiestissimo. Il suo studio era in via Ogninella 13 alle spalle di piazza Università ed era dotato di una sala di posa a ‘lucernario’. Tra i suoi clienti Angelo Musco, i cui funerali furono ritratti da Angelo Di Giorgio, il primogenito di Giovanni, Giovanni Grasso e Lina Cavalieri”.
Dai Di Giorgio passano anche i grandi nomi della letteratura italiana. “Nella memoria orale arrivata fino a me si parla anche di Verga e Capuana, appassionati fotografi amatoriali, che pare si rifornissero di materiali artigianalmente realizzati dal mio bisnonno. Recentemente – rivela – ho restaurato un bellissimo ritratto di quattro gentildonne calabresi, le sorelle Leotti, che avevano affrontato il viaggio dall’altra parte dello Stretto attratte dalla fama che Giovanni Di Giorgio si era guadagnato”.
“Ho trovato sue tracce persino a Napoli dove ritrasse diversi artisti del San Carlo. Due dei figli di Giovanni ne seguirono le orme: Angelo il primogenito, mio nonno, e il fratello minore Vannino con studi in via Etnea (per un periodo denominata Stesicorea) via San Giuliano e via Garibaldi, Vannino ebbe l’onore di ricevere nel suo studio Arturo Toscanini i cui ritratti, colorati a mano con le ecoline, campeggiavano alle pareti dello studio di via Garibaldi”.
La dinastia continua. “Due figli di Angelo divennero a loro volta fotografi: Gaetano, mio padre, e il fratello Enzo. Mio papà è stato fotoreporter prima a Roma per l’Agenzia Olimpia e il quotidiano Il Messaggero, poi per lungo tempo a Catania per La Sicilia, ha condotto lo studio professionale che io ho ereditato, mio zio Enzo invece ha allevato generazioni di fotoamatori che si approvvigionavano di materiale fotografico nel suo fornitissimo negozio di via Crispi”.
Insomma, “io sono nato in mezzo a rullini, pellicole piane e iposolfito”, prende fiato Angelo Di Giorgio. “Ho percorso principalmente il sentiero del fotogiornalismo praticato a livello internazionale. Ho fotografato in tre continenti immortalando tra l’altro: la caduta del muro di Berlino, una mezza dozzina di conflitti e le stragi del ’92 a Palermo. Ho vissuto e lavorato a Roma e Milano. Nel ’94 sono tornato a Catania principalmente per mia figlia, che ho allevato da solo. Non mi sono mai pentito di aver mollato carriera, successo e fama. Gli affetti e l’amore per la mia città mi hanno ampiamente ripagato”. Un’attività che continua grazie all’impegno parallelo all’interno del collettivo fotografico di Gerta, a cui collabora anche Stefania Mazzone, storica delle dottrine politiche all’Università di Catania.
Un destino beffardo ha voluto che il patrimonio più grande di una dinastia come quella dei Di Giorgio, le foto, andasse quasi completamente distrutto nel corso dei bombardamenti su Catania durante la Seconda guerra mondiale. Lo storico studio di via Ogninella è stato sbriciolato da un’ordigno degli Alleati. “In questi anni – rivela ancora – mi sono dedicato alla ricerca delle foto scattate dai miei antenati e qualcosa sono riuscito a mettere insieme, ma è veramente poca roba se confrontata con quel che è andato perduto”.
Ma il passato è passato e intanto c’è da fare i conti le amarezze del tempo presente. Ecco la domanda di Di Giorgio: “Oggi mi chiedo se tutto questo è veramente giunto alla fine: centotrentaquattro anni di storia, quattro generazioni, dai dagherrotipi ai sensori digitali, possiamo veramente permettere che questa memoria storica della nostra città scivoli via come lacrime nella pioggia?”. Ma come ogni in film che si rispetti, si spera sempre nel finale a sorpresa.
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