Tensioni, richiami e scontri in aula| Se l’avvocato diventa un nemico

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19 Marzo 2017, 06:00

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PALERMO – È la mafia che ha voluto la morte dell’avvocato Enzo Fragalà. Doveva essere un avvertimento, una minaccia per l’intera classe forense palermitana. Sembra di essere tornati ai tempi del maxiprocesso, quando i boss pensavano di lanciare un segnale agli avvocati: ucciderne uno affinché tutti gli altri capissero che bisognava dare battaglia in aula. Allora si fermarono alla fase progettuale. Sette anni fa, invece, Fragalà fu massacrato sotto il suo studio al termine di una giornata di lavoro.

“Sul piano delle minacce ci tengo a dire che gli avvocati non possono accettare intimidazioni da nessuno – ha dichiarato qualche giorno fa a Livesicilia il presidente dell’ordine degli avvocati palermitani Francesco Greco – Sappiano questi delinquenti che se ritengono di poterci intimidire e che noi facciamo un passo indietro dal nostro dovere hanno sbagliato obiettivo. Il nostro dovere è difendere l’imputato attraverso scelte tecniche adeguate. Se l’avvocato ritiene che la difesa tecnica migliore per il suo imputato sia aprirsi alla collaborazione deve andare avanti”.

È di questo che Fragalà sarebbe stato accusato dai mafiosi. I suoi clienti facevano ammissioni, violando l’omertoso codice che prevede il silenzio sempre e comunque anche fino alla condanna. Una strategia difensiva che, nella mente dei mafiosi, si trasformò in un comportamento da punire. L’avvocato è diventato un nemico da impaurire e zittire. L’ordine fu di picchiarlo senza rubargli nulla. Fragalà non avrebbe dovuto confondere quanto accaduto con una rapina. Non doveva avere dubbio alcuno sul fatto che si trattasse di un avvertimento a lui rivolto in quanto avvocato.

Picchiarono duro, però. La mazza di legno usata dagli aggressori non lasciò scampo al penalista. Non gli diedero il tempo di metabolizzare quanto gli era accaduto anche se, chi lo ha conosciuto bene, è certo che non si sarebbe lasciato intimidire. Doveva essere un avvertimento, divenne uno degli omicidi più cruenti della cronaca, recente e non.

Il messaggio era stato lanciato ed è entrato nel macabro rituale della cronaca. Non è un caso che chi ha deciso di consegnare una lettera minatoria allo studio di un altro avvocato palermitano, Maurilio Panci, abbia scritto la frase: “Continua a fare l’infame, ti faccio fare la fine del tuo collega Fragalà”. Le indagini per capire se sia stata un’intimidazione legata a un fatto privato piuttosto che a questioni professionali sono ancora in corso. Un fatto privato – non per questo meno grave – non sarebbe figlio di quel clima che si è fatto pesante attorno alla classe forense. Nei mesi sorsi due avvocati sono stati avvicinati in aula e redarguiti con metodi bruschi dai loro clienti imputati per mafia. Episodi analoghi sono stati registrati nelle sale colloqui dei penitenziari palermitani. Sempre in aula alcuni appartenenti al clan di Porta Nuova hanno revocato platealmente il mandato dei difensori “colpevoli” di non avere ricusato il giudice.

Insomma, c’è chi non gradisce l’atteggiamento processuale degli avvocati e lo ha manifestato in maniera fin troppo evidente. Probabilmente pretendevano difese più agguerrite. La verità è che il carcere fa paura, anche a chi conosce le privazioni della cella perché vi ha trascorso una grossa fetta di vita. Finiscono in carcere, escono e ci tornano di nuovo: è la mafia dei soliti noti. A questo si aggiungono i problemi generali del sistema giustizia. Lunghe attese, intoppi burocratici, uffici con croniche carenze di personale: l’avvocato diventa un nemico per il cliente che non per forza deve essere un mafioso e non per questo va considerato meno pericoloso. Il legale diventa bersaglio per colpe non sue.

Il clima è e resta pesante fra le toghe palermitane alle prese, in questi giorni, col dibattito interno sull’opportunità o meno di assistere gli indagati accusati di avere ucciso Enzo Fragalà. Congelare il coinvolgimento emotivo per la tragica morte di un collega non è facile, ma va conciliato con l’esigenza per tutti gli indagati-imputati di avere garantito il diritto di difesa. I reati, se sono stati commessi, vanno puniti. Molto severamente e senza sconto alcuno nel caso di un omicidio. Ma questo nulla c’entra con l’avvocato, il cui ruolo di sentinella del diritto deve restare un punto fermo nel processo. C’è chi suggerisce allora che siano avvocati di un altro foro, magari vicino a quello palermitano, a prendere le difese di chi è accusato di avere ucciso Enzo Fragalà.

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19 Marzo 2017, 06:00

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