23 Gennaio 2020, 18:26
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PALERMO – Certa la matrice mafiosa, certo il movente della punizione da infliggere all’avvocato Enzo Fragalà, la cui morte è stata voluta da un commando di Cosa Nostra.
Sono i passaggi principali delle discussioni degli avvocati Enrico Sanseverino ed Enrico Trantino, legali della moglie e dei figli del penalista, costituiti parte civile al processo. Si sono associati alla richiesta della Procura di condannare all’ergastolo tutti gli imputati.
Nell’aula bunker del carcere Ucciardone stamani c’era anche una rappresentanza del Consiglio dell’ordine e della Camera penale in segno di vicinanza ai familiari e di compattezza perché il brutale assassinio ha colpito l’intera categoria.
Sotto processo ci sono Antonino Abbate, Francesco Arcuri, Salvatore Ingrassia, Antonino Siragusa, Paolo Cocco e Francesco Castronovo, uomini del clan mafioso di Porta Nuova.
Secondo i legali di parte civile, non c’è alcun dubbio che si è trattato di un omicidio volontario. Il povero penalista fu prima colpito alle gambe, provocandogli la frattura della tibia. Lo costrinsero così a chinarsi per poi infliggergli il colpo finale alla testa. Si trattò di un’esecuzione.
Secondo l’accusa, Fragalà fu punito perché i suoi clienti facevano ammissioni nei processi e rendevano interrogatori che mettevano nei guai i boss. Fragalà non aveva esitato, per difendere al meglio un suo assistito, a rendere pubblica, quattro giorni prima della barbara aggressione, la corrispondenza della moglie di un padrino della vecchia mafia. Fragalà era impegnato nella difesa di Vincenzo Marchese e Salvatore Fiumefreddo, sotto processo con l’accusa di avere fatto da prestanome al capomafia di Pagliarelli, Nino Rotolo. Durante il dibattimento, in cui era imputato lo stesso Rotolo, i due indagati avevano fatto delle confessioni. Fragalà aveva prodotto in udienza la lettera con cui la moglie di Rotolo si scusava con Marchese per i guai giudiziari che gli aveva provocato il marito. L’avvocato lesse alcuni passaggi della lettera in aula. Da qui la decisione dei clan mafioso di punirlo.
L’avvocato Sanseverino ha riservato una stoccata a Piercamillo Davigo, presidente della II sezione penale della Corte di Cassazione e membro togato del Csm che nei giorni scorsi aveva lanciato la proposta, in chiave di velocizzazione dei processi, di “rendere responsabile in solido l’avvocato. Così, quando il cliente gli chiede di ricorrere, gli fa depositare fino a 6 mila euro e poi, in caso di inammissibilità del ricorso, verserà lui la somma al posto del cliente”.
“Davigo è arrivato tristemente secondo – ha detto Sanseverino –, in Sicilia ci ha pensato la mafia a considerare gli avvocati responsabili in solido. Responsabili per aver assunto posizioni di legalità. Nel 1995 è toccato all’avvocato catanese Serafino Famà e nel 2010 a Enzo Fragalà”. Nelle prossime udienza spazio alle difese degli imputati. Poi la sentenza.
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23 Gennaio 2020, 18:26