11 Ottobre 2017, 05:45
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PALERMO – Le verità diventano tre. A quelle dei pentiti, due giorni fa, si è aggiunto il racconto di un testimone oculare. Un anziano signore che la sera in cui fu ucciso l’avvocato Enzo Fragalà era sotto lo studio del penalista palermitano. C’erano lui, un altro testimone e l’aggressore che infierì con un bastone sul corpo della vittima. Agì da solo l’uomo che indossava abiti di colore nero e un casco da motociclista. Sarà un processo difficile quello che si sta celebrando in Corte d’assise. Si rischia di restare impantanati nelle sabbie mobili.
In principio c’erano le sole dichiarazioni di Francesco Chiarello, il collaboratore che ha fatto riaprire il caso che si era chiuso con l’archiviazione. Poi, ad arresti avvenuti – in cella sono finiti gli stessi uomini della prima indagine – arrivarono le parole di Antonino Siragusa a sparigliare le carte. Il contrasto con le dichiarazioni di Chiarello è evidente. Siragusa chiama in causa se stesso, accusa Antonino Abbate e Salvatore Ingrassia, ma scagiona Francesco Arcuri, Francesco Castronovo e Paolo Cocco. E cioè il presunto mandante e i presunti esecutori materiali del delitto.
È vero, esclude la sua presenza dalla spedizione punitiva, ma sostiene di essere stato lui a recuperare il bastone per il pestaggio mortale. Al contrario di quando riferito da Chiarello che lo indica come presente al pestaggio. Il pentito dice di avere saputo da Francesco Castronovo che Siragusa e Salvatore Ingrassia avevano preso a pugni e calci l’avvocato prima che Castronovo iniziasse a colpirlo con il bastone. Nella sua versione Siragusa riferisce, invece, di essere rimasto in macchina, mentre Abbate “era quello che materialmente ha colpito l’avvocato”. Abbate che nel racconto di Chiarello si era limitato a dare il via al pestaggio, riconoscendo il penalista: “Iddu è… e poi se ne va”.
La Procura non ritiene attendibile Siragusa, tanto che lo ha sentito una sola volta. Non intende perdere tempo con le sue dichiarazioni, anche quelle su altri fatti di mafia che nulla c’entrano con la morte del penalista. Il processo è il luogo, procedura alla mano, dove si forma la prova. Il punto è che in entrambe le versioni dei pentiti – per conoscenza diretta o de relato – la scena del delitto si popola di più persone. Niente a che vedere con il singolo aggressore di cui parla il testimone. Lui era lì, distante un metro e mezzo. Dei tre racconti è suo quello disinteressato. Ecco perché la faccenda si complica.
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11 Ottobre 2017, 05:45