La Regione paga il conto a Gorgone | Rimborsate spese per 190 mila euro

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02 Febbraio 2014, 20:05

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PALERMO – La Regione gli paga il conto dell’avvocato. Franz Gorgone ha diritto al rimborso delle spese legali: 194 mila euro, iva inclusa. Non per il processo in cui l’ex deputato e assessore regionale democristiano fu condannato per concorso esterno in associazione mafiosa – naturalmente – ma per quello in cui è stato assolto dall’accusa di avere fatto parte del patto del tavolino con cui la mafia, negli anni Ottanta, controllò gli appalti pubblici grazie all’aiuto della politica.

Gorgone oggi ha 84 anni, sette dei quali li ha trascorsi in cella. La Procura gli contestò il tanto discusso, e difficile da provare, reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Aveva stretto un patto con Cosa nostra. Una contestazione che passò il vaglio di tre gradi di giudizio. Quello definito della Cassazione, nel 2002, lo spedì in carcere. Il deputato, alle elezioni regionali del 1991, ottenne i voti delle famiglie mafiose di Altofonte e Cerda. In cambio, quando era assessore regionale al Territorio e ambiente, firmò i decreti di finanziamento per due appalti che stavano a cuore a Cosa nostra: la rete fognaria di Altofonte e il parco urbano di Caccamo.

In carcere, Gorgone c’era finito pure nel 1998. Il processo, quello per il quale ora ha ottenuto il rimborso delle spese legali, ebbe un esito diverso. Gli investigatori lo piazzavano nel cuore della tangentopoli in salsa siciliana. L’inchiesta portò in carcere politici, imprenditori e amministratori pubblici, accusati di mafia, bancarotta fraudolenta e corruzione. Nel 2010 la sentenza stabilì che il tavolino illecito per gli appalti, in realtà, non era esistito. O quasi. Dodici anni dopo quel terremoto giudiziario che coinvolse anche una parte dell’imprenditoria vicina alla sinistra, arrivarono assoluzioni e prescrizioni a raffica.

Ad uscire indenne dal processo fu anche Franz Gorgone. Gli venivano contestate ipotesi di corruzioni e turbativa d’asta, aggravata dall’articolo 7, nelle gare per l’ampliamento della discarica di Bellolampo, a Palermo, nell’approvazione del piano regionale dei rifiuti, e nell’aggiudicazione dei lavori per la condotta sottomarina di Mazara del Vallo e Carini. In primo grado Gorgone era stato condannato a quattro anni e mezzo. Poi, l’assoluzione in appello, confermata in Cassazione.

La Regione, prima di dare il via libera al rimborso delle spese legali, ha chiesto un parere all’Avvocatura dello Stato. Parere inequivocabile: il caso Gorgone rientra fra quelli regolamentati dall’art 39 della legge regionale 145/80 che “consente il rimborso delle spese legali a favore dei dipendenti regionali che, in conseguenza di fatti e atti connessi all’espletamento del servizio e dei compiti d’ufficio, siano stati sottoposti a procedimenti giudiziari sempre che gli interessati siano stati dichiarati esenti da responsabilità”. Una legge che si applica anche ai “pubblici amministratori”.

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E Gorgone, all’epoca assessore al Territorio e ambiente, pubblico amministratore lo era. Da qui il decreto del 18 dicembre scorso firmato dal dirigente generale dello steso assessorato, Gaetano Gullo, che impegna i 193 mila in favore di Gorgone.

Gorgone che nel 2002 continuava a ripetere a chi lo salutava, ma soprattutto a se stesso: “Può essere mai che io sia l’unico mafioso?”. E lo diceva poco prima di varcare la soglia del carcere dell’Ucciardone dove si presentò, una mattina di novembre, ancor prima che i carabinieri gli notificassero il provvedimento di arresto. Giornali sotto braccio, occhiali scuri, valigetta di plastica, ad alcuni cronisti che lo accompagnarono nel breve tragitto verso il carcere rassegnò parole di amarezza: “Sfido chiunque a dire che i decreti che ho firmato abbiano favorito la mafia”. Perché allora la condanna? “Io ho salvato l’onore alla Procura di Palermo, dopo i tanti processi finiti con un flop, hanno trovato un colpevole a cui farla pagare. Io sono una vittima di una alchimia giudiziaria”.

In effetti per anni Gorgone ha avuto il triste primato di essere l’unico politico siciliano colluso con la mafia assieme all’ex senatore democristiano di Palermo, Vincenzo Inzerillo. La condanna di Totò Cuffaro era ancora lontana. Sarebbe arrivata un decennio dopo. Non per concorso esterno, ma per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra.

 

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02 Febbraio 2014, 20:05

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