26 Novembre 2017, 06:00
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“Quando Francesco è stato male, di mattina, cercava di consolarmi. Tre anni e sembrava lui quello grande. Mi diceva: ‘mamma, mamma, tutto ok’. E aveva già un’emorragia cerebrale in corso”. Linda Napoli e Silvio Pagano sono l’acqua e la sabbia di un tramonto in riva al mare. A momenti alterni, uno scorre e l’altro prende forma. Nella luce che cala all’orizzonte, traspare il ritaglio di un figlio amato e mai perduto.
Sì, certo, Francesco – bimbo di incomparabile bellezza, dal sorriso boreale – è morto, ucciso da un male che la sua infanzia ci fa apparire più crudele e ingiusto. Sì, certo, i paramenti del distacco – il funerale, la tomba, il santuario della memoria che resta nel telefonino, il sorriso mai dimenticato che morde il cuore – recano pensieri vestiti di nero.
Eppure, nelle parole di papà e mamma, questo bambino amatissimo sopravvive col suo faccino da angioletto di ceramica a corredo di un presepe, ora che è Natale. E hai l’impressione che abbia soltanto ripreso le ali, posate in qualche remoto angolo di Paradiso, o a pochi centimetri dalla mortadella che campeggia nel bancone, appena un attimo fa. Linda e Silvio, inossidabili compagni di viaggio, due ragazzi innamorati. Fino a ieri erano conosciuti, a Palermo, perché reggono ‘A casa di….’, ricovero di strapuntini e prelibatezze al centro. Per la precisione, Silvio ha un suo lavoro, ma, quando può dà una mano. E offre il suo prezioso sostegno pure nonna Giusi, la mamma di Linda, che ha sorretto l’attività nei giorni più bui.
Durante questa storia di coraggio che ha raggiunto tutti con dolenti e delicatissimi passaparola, in tanti hanno cominciato a volere bene alla famiglia di via Cerda per la dolce fermezza con cui ha affrontato il calvario. ‘A casa di…’ è meta di pellegrinaggi, di carezze e di abbracci. Sui social si è scritto di Francesco e dei suoi genitori, come esempi di compostezza e valore. Ormai è trascorso poco più di un mese, ma il sussulto dell’affetto non è scomparso, raddoppiandosi, trasformandosi in un sussurrato clamore. Ecco la notizia. Se ci fosse un sismografo adatto, registrerebbe fortissime scosse di partecipazione.
“Se parliamo oggi – dice Linda – è perché vogliamo trasmettere un messaggio di speranza e di amore. L’amore che non ci ha mai abbandonato, la speranza di esserci, di esserci stati e di esserci ancora. Legami così forti non possono essere distrutti”. Nella bottega di via Cerda si misura la quiete operosa di un giorno qualunque. I ragazzi che lavorano eseguono solerti i passaggi necessari per i clienti che tra un po’ accorreranno. La specialità della casa risiede nell’accoglienza, non soltanto nella qualità.
Linda e Silvio chiacchierano uno dopo l’altro. “Francesco ride sempre – dice Silvio – io non ho più avuto il coraggio di rivedere i suoi video, un giorno lo farò. Qualcuno pensa che noi siamo genitori particolari, ma non c’è niente di speciale nel modo in cui affrontiamo la prova che ci tocca subire. E’ solo normalissimo amore”. Lo stesso amore che ha avviato un percorso di generosità per progetti futuri che verranno realizzati nel nome di Francesco, ancora coperti dalla discrezione.
L’identico amore che promana, con la sofferenza, dal reparto di Oncoematologia pediatrica del Civico, retto da Paolo D’Angelo. “Non finiremo mai di ringraziarlo – continua Silvio – il dottore D’Angelo è in ospedale giorno e notte, di domenica, a Natale… Un amico e un professionista esemplare. E non ringrazieremo mai abbastanza i medici e gli infermieri. Altro che malasanità! Siamo stati assistiti da persone eccezionali, dotate di competenze e umanità”.
Il bimbo che rammenta un angioletto ha attraversato anime fisicamente distanti, richiamate alla sua gioia e al suo capezzale. Dal telefonino di Linda salta fuori una foto con l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice. “Don Corrado è stato molto partecipe e affettuoso. Eravamo tra la folla durante l’ultimo festino. Si è avvicinato, ha accarezzato Ciccio e l’ha preso in braccio. Ci ha confortato, ci conforta”. Non avendo mai dimenticato una piccola, tenera e inarrestabile peste che invadeva i locali dell’arcivescovado, nascondendosi sotto la scrivania. E non c’è uno che non abbia incontrato la sua meraviglia, che non abbia saputo, scoprendosi coinvolto oltre l’immaginabile.
Ecco Ciccio, mentre nuota in piscina, tra le braccia di mamma e strilla: “Sono felice”. Eccolo – serio, serio – al tavolino di un ospedale mentre pasticcia fogli di album con i colori: nessuno è più adulto di un bambino che gioca. Eccolo accanto all’uomo gentile dei confetti, Giuseppe Veniero, piombato in corsia con la moglie e i suoi doni. Eccolo, di nuovo, immortalato tra gli scaffali del negozio, che butta ogni cosa in aria, che sta alla cassa, che scompiglia, che corre. Eccolo, in un tenue bianco e nero, appoggiato al collo della mamma che su facebook ha scritto: “Così per sempre”. E’ lui, Ciccio-Francesco, che ha catalizzato l’attenzione di Palermo, raccolta in preghiera.
Frammenti sovrapposti di immagini. Quando Francesco stava bene. Quando si pensava che potesse guarire. Quando usciva dal reparto, di spalle, come se non dovesse tornarci mai più. Quando sembrava che sarebbe cresciuto, che avrebbe avuto vent’anni, canzoni stonate e serate colme di ricordi. “La nostra storia, la storia di nostro figlio – dice Silvio – ha provocato un calore umano di cui siamo grati e che non dimenticheremo”. “Il nostro messaggio è questo – dice Linda -, che ci siano comunque amore, solidarietà e speranza”.
In via Cerda è già l’ora dell’aperitivo. Ombre sfilano dalla porta, mentre l’ambiente si accende tra gli addobbi di una tranquilla giornata di lavoro, di speranze, di dolore. Qui Francesco respira ancora con l’eco cristallina della sua voce. Aveva parcheggiato le ali in un angolo. Infine, è tornato al suo presepe, in una notte di angeli e stelle, lì dove i bambini rinascono sempre.
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26 Novembre 2017, 06:00