“Francia e Spagna non erano pronte” | Parlano (alcuni) siciliani in Europa

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15 Aprile 2020, 18:38

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PALERMO – Era solo questione di tempo: uno a uno, i paesi di tutta Europa si ritrovano a seguire l’Italia e attuare misure anti-contagio indispensabili, comprese quelle definite eccessive in tempi non sospetti. Non la pensavano così i molti siciliani che si sono fatti una vita all’estero, consci dell’imponente prevenzione in atto sull’Isola dai primi giorni del lockdown nazionale. Così alcuni di loro, pur restando nella loro ‘terra adottiva’ dove ormai hanno tutto (in primo luogo il futuro), avevano già iniziato a prepararsi ai pericoli del muoversi in ritardo rispetto all’Italia. Aspettandosi il peggio.

Come nel caso di Giulia, da tre anni a Tolosa, in Francia, per un dottorato di ricerca in Scienze gestionali. Lì isolamento e chiusure sono in vigore dal 17 marzo e sono state prorogate fino all’11 maggio. “Seppur verso i primi di marzo l’opinione pubblica francese iniziasse ad essere parzialmente cosciente del problema, era come se il pericolo fosse ancora lontano – racconta –. Il primo marzo sono andata in Germania per un soggiorno di ricerca, e la situazione sembrava tranquilla: mi aspettavo già di assistere a un aumento dei controlli negli aeroporti, ma ancora non si percepiva quasi nulla dell’imminente problema. Anche io ero piuttosto serena.

“Nel giro di pochi giorni la situazione è degenerata – spiega però Giulia – e la sera di domenica 15 marzo ho deciso di tornare in Francia. Il mattino dopo mi sono ritrovata con le valigie in mano nell’ultimo posto in cui vorresti essere durante una pandemia: l’aeroporto. A Parigi-Orly era il caos, fra gente con guanti e mascherine e quell’odore di gel disinfettante ovunque, e già si vedevano sguardi accaniti verso chi non rispettava la distanza o si azzardava a tossire. La sera stessa, il presidente Macron ha annunciato il lockdown”.

Da Nantes anche Giacomo, in Francia per un dottorato in Economia, ricorda: “L’11 marzo ancora andavo e tornavo da Parigi senza problemi, anche se c’era già sentore del pericolo; poi il 12 marzo è arrivato improvvisamente il famoso discorso di Macron in cui parlava di ‘guerra’. Il weekend prima del lockdown però effettivamente è andato liscio come se nulla fosse – osserva – e anche se io non sono uscito, tantissimi altri sì. E hanno anche festeggiato indisturbati una sorta di ultima serata prima del ‘confinement’. E credo ci sia anche un altro scandalo da segnalare: domenica 15 marzo in Francia si è svolto senza problemi il primo turno delle elezioni comunali. La mia opinione? È stato quasi come se le elezioni non potessero essere annullate nemmeno per l’emergenza. Eppure – conclude Giacomo – non mi è mai venuto in mente di tornare: qui è casa mia, rimango a casa mia. All’inizio non capivo perché in Sicilia ci fosse tanta fretta mentre qui nessuna, per cui soffrivo, ma poi mi sono sentito quasi rassicurato che anche qui si muovesse qualcosa”.

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La preoccupazione è corsa veloce anche in Spagna, come racconta Valentina che da tre anni vive e lavora a Madrid, considerata il focolaio dell’epidemia di Covid-19 iberica. Ora il governo sta lentamente riaprendo alcune attività non necessarie e sta distribuendo mascherine gratuitamente sui bus e in metropolitana, ma l’ondata di contagi dei giorni scorsi è stata violenta. “Qui in Spagna è stata presa molto sottogamba – dice Valentina – e si parlava di una ‘influenza ma leggermente più grave’. Un esempio concreto? L’8 marzo a Madrid si è celebrata un’enorme manifestazione per la festa delle donne, mentre già le notizie dall’Italia arrivavano eccome, ma nessuno si è mosso per attuare restrizioni. Fino ai primi contagi proprio a Madrid, che praticamente da sola ha la popolazione della Lombardia”.

Come a Bergamo, racconta Valentina, anche in Spagna avrebbe fatto la differenza una partita di calcio: Liverpool – Atletico Madrid dell’11 marzo ha portato molti spagnoli in Inghilterra, favorendo, forse, dei contagi ‘incrociati’. Ora, secondo lei, la Spagna dovrà ovviare alla “mancanza delle strutture e di dispositivi di protezione individuale: anche per questo sto stravolgendo il concetto del famoso ‘pacco da giù’ e mi sto facendo inviare dalla Sicilia guanti e mascherine fatte in casa”.

In Spagna c’è anche Paolo, trasferitosi circa cinque anni fa da Palermo a Barcellona, che lavora per un portale web e opera sul mercato italiano. “Quindi – racconta – già una settimana prima sapevo cosa sarebbe successo anche qua. Nel nostro piccolo io e gli altri dipendenti italiani avevamo fatto presenti i pericoli incombenti all’azienda, senza essere presi troppo sul serio. Secondo me – aggiunge – il governo Sanchez ha fatto due gravi errori: contare sulla prevenzione italiana come ‘scudo’, e non impedire potenziali focolai come la manifestazione dell’8 marzo. E poi però sono i primi a riaprire…”.

Paolo si dice perplesso anche in merito al trattamento dei pazienti, “perché i guariti aumentano ma si considerano tali tutti i dimessi dagli ospedali, quindi senza i tre tamponi che si eseguono in Italia. A questo proposito – continua – ho notato che ogni giorno i tg dedicano diversi minuti alla situazione italiana, parlando anche delle sanzioni ai ‘furbetti’. La mia impressione è che si cerchi di darsi conforto osservando chi sta anche peggio”. Eppure, a Barcellona, proprio i furbetti non mancano: “Le misure restrittive funzionano ma capitano anche certi casi assurdi, esattamente come in Italia. Chiedete a quel ‘genio’ che apre la palestra di nascosto per cinque-sei clienti fissi… Coi miei occhi ho visto uno di loro arrivare con lo zaino di un’azienda di consegne a domicilio, per non essere beccato”.

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15 Aprile 2020, 18:38

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