10 Settembre 2023, 07:00
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Salvo, perché i fratelli Corsaro, cioè due e non uno?
“Perché non volevo un protagonista classico. A dirla tutta, i protagonisti mi fanno antipatia e poi…”.
Intermezzo d’obbligo. Qui si intervista Salvo Toscano, giornalista Rai, giallista, scrittore, mentre si girano gli episodi nati dalla serie di Roberto e Fabrizio, i fratelli Corsaro, appunto, per una fiction con Beppe Fiorello. Nelle scuole di giornalismo si insegna che il lei sarebbe d’obbligo. Tuttavia, siccome l’autore dei libri è stato, per anni, a LiveSicilia.it, compagno di banco dello scrivente del pezzo che leggete, il ‘lei’ sarebbe un pronome falsario. Più sincero il tu.
E poi?
“I protagonisti, dicevo. Sono sempre dei drittoni che la sanno lunga. Invece in squadra l’ego si smussa. Ecco perché sono nati i fratelli Corsaro”.
Perché un siffatto cognome?
“Conoscevo davvero un avvocato Corsaro, molto prima di pensare a scrivere. Il suono mi ha intrigato, mi è tornato come una suggestione. In effetti viene bene”.
Fratelli siciliani, interpreti di libri gialli, ma sui generis. Non mangiano i babbaluci, non espettorano moniti gattopardeschi, non dicono: ‘minghia’, nello slang cinematografico.
“Non sono dei cliché. Volevo raccontare una Sicilia, che non fosse quella del luogo comune, con le cose che vediamo ogni giorno. Non è che parliamo, immancabilmente, come Franco Franchi nei film. Non mangiamo la cassata al mattino, altrimenti sai la glicemia. E non discutiamo a tutte le ore di mafia. Volevo tratteggiare i siciliani per quello che siamo: persone normali”.
E questa cosa è piaciuta a chi legge.
“Moltissimo. Perché ci si rispecchia in individui veri, non in modelli. E nemmeno con un passato problematicamente tragico. A parte la morte del padre, in giovanissima età”.
Che per te e tuo fratello è un dato autobiografico.
“Purtroppo, sì”.
I fratelli Corsaro, oltretutto, non fanno nemmeno i poliziotti.
“Ma sai ce n’erano già tanti. Non sono neanche supereroi. Nessuno di loro è Judo Boy…”.
…Tra i personaggi citati di un tuo inedito saggio sui cartoni animati giapponesi, di cui pochissimi siamo a conoscenza.
“Sì, Judo Boy era quello che incontrava vittime gentilissime. Cercava un uomo con un occhio solo, per vendicarsi. E sterminava, di conseguenza, malcapitati con un occhio solo, sbagliando sempre. Ma quelli non se la prendevano. Anzi, prima di morire, gli davano delle indicazioni su come trovare il vero uomo con un occhio solo. Però, sbagliavano pure loro, così la strage andava avanti”.
Pubblicherai mai quel saggio?
“Non credo”.
Domandone introspettivo: in quale dei fratelli ti riconosci?
“Mah… Ho tante cose che mi accomunano a Roberto e meno a Fabrizio, anche se è giornalista come me. Però non possiedo la sua forza granitica”.
Quando li hai pensati per la prima volta?
“Da militare, avevo ventitré anni. Stavo malissimo, ero ricoverato e cominciai a buttare giù una storia, scrivendo a penna su un quadernone enorme. Poi, li misi in un angolo, ma loro, un bel giorno, si sono ripresentati. E mi hanno detto: Salvo, ora vogliamo vivere”.
E adesso la fiction?
“Una bellissima soddisfazione che non avevo messo nel conto”.
Che stai scrivendo?
“Una storia un po’ diversa, senza i fratelli”.
I lettori ti assicutano…
“Ma i fratelli Corsaro continueranno ad andare avanti. Ancora mi piace scriverli, mi diverte. E questo lo trovo più sorprendente del fatto che diventino una fiction”.
Insisto per il libro sui cartoni animati. Mandami la bozza che faccio il correttore gratis.
“Quello sarebbe il modo più sicuro per non pubblicarlo mai”.
Perché?
“Lo perderesti dopo cinque minuti”.
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10 Settembre 2023, 07:00