15 Aprile 2018, 13:07
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Siamo nei primi anni del Cinquecento. Il giureconsulto palermitano Jacopo de Basilicò, devoto alla Madonna, durante un viaggio in Terra Santa resta affascinato dalla chiesa di Nostra Signora dello Spasimo a Gerusalemme.
Tornato a Palermo decide di far edificare il complesso monumentale di Santa Maria dello Spasimo dei padri di Monte Oliveto, nell’antico quartiere della Kalsa. Una struttura architettonica che utilizza il linguaggio tardo gotico caratteristico del primo Rinascimento siciliano.
Ma non solo, quasi contemporaneamente affida ad Antonello Gagini e a Raffaello Sanzio, la realizzazione di due opere da collocare all’interno della chiesa. Gagini è incaricato di scolpire l’altare marmoreo da situare nella navata meridionale per incorniciare un grande dipinto su tavola del maestro Raffaello, raffigurante “L’andata al calvario”, divenuta celebre col nome di “Spasimo di Sicilia. Il capolavoro, che secondo il Vasari “ha più fama e reputazione del monte Etna”, è oggi esposto al museo del Prado di Madrid. L’altare, invece, oggi è a pezzi, “custodito” in un angolo dello Spasimo. Da anni si attende il restauro.
Del resto, gli stessi lavori di costruzione della chiesa con annesso convento, chiostro, campanile, dormitorio, cimitero e orto, andarono per le lunghe: dovevano durare sei anni ma andarono avanti per trent’anni senza essere mai completati perché la minaccia dell’armata turca porterà a edificare un bastione di difesa nell’area a ridosso dello Spasimo. Da quel momento l’affascinante edificio avrà numerose destinazioni d’uso: primo teatro pubblico di Palermo, lazzaretto, ospizio, deposito e ospedale civico sino al 1986.
La storia dell’altare e del dipinto inizialmente vanno di pari passo per poi separarsi per sempre, quando nel 1661 l’opera di Raffaello viene spedita dal vicerè don Ferdinando de Ayala in Spagna al re Filippo IV.
Anche per l’altare comincia una vera e propria odissea: trasferito nella chiesa di S. Spirito, passa poi in quella dei Padri Gesuiti al Cassaro, dove subisce delle trasformazioni strutturali. Negli anni sarà più volte trasferito e smembrato, e arriverà al Museo Nazionale dell’Olivella (oggi museo Salinas). Nel 1951, le collezioni archeologiche vengono separate da quelle d’arte medievale e moderna (esposte al museo Abatellis) e così viene portato a Bagheria, nella sede gesuitica di villa San Cataldo.
Ed è qui che dopo lunghi studi e ricerche meticolose sarà individuato dalla storica dell’arte Maria Antonietta Spadaro: “Dell’altare se ne erano perse le tracce, era dato per disperso da molti studiosi a causa dei bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. L’ho individuato nel 1986, era smontato in diversi pezzi, alcune colonne in piedi, altre nella cappella e il resto sparpagliato”.
La difficoltà nelle ricerche stava anche nel fatto che non si possedevano immagini dell’altare: “Proprio così, – spiega la studiosa – sono riuscita a trovarne una nell’archivio fotografico della Soprintendenza in via dell’Incoronazione, si trattava di una foto di quando l’altare era collocato nella chiesa sul Cassaro”.
Scoperto nel 1986 dicevamo, si pensa di assemblarlo subito, almeno questo è quanto promettono e assicurano assessori, tecnici ed esperti. Lo Spasimo che sino a quella data era stato utilizzato come ospedale civico viene riaperto dopo i lavori di restauro nel 1995. Grazie al lavoro d’investigazione della storica dell’arte si è resa possibile l’esatta catalogazione dei vari pezzi dell’altare e l’ordine con cui dovranno essere rimontati.
Da allora sono passati 21 anni (l’altare con l’intervento della Soprintendenza e del Comune di Palermo è stato riportato nel luogo originario nel 1997) e numerosi assessori, tecnici ed esperti, hanno promesso e garantito il suo restauro e montaggio, ma l’opera del Gagini giace ancora triste e solitaria, oltreché fatta a pezzi, ben 50 pezzi, all’interno della cappella Anzalone dello Spasimo, detta anche cappella di Santa Maria del Riposo.
Il costo dei lavori di restauro, finanziati dall’assessorato al Centro storico del Comune, è complessivamente di 136mila euro e riguarda solo l’altare e non la cappella. Un destino tormentato il suo e un epilogo ancora oggi incerto, nonostante l’ottimismo dei numerosi assessori, tecnici ed esperti.
Durante la presentazione dell’articolato programma di Palermo capitale italiana della cultura, davanti a tutte le autorità istituzionali presenti per l’occasione, è stato per l’ennesima volta dichiarato che l’opera del Gagini sarebbe stata rimontata entro il 2018 e l’opera di Raffaello riprodotta in collaborazione con Factum art, la società specializzata in repliche hi-tech che ha già realizzato per l’associazione Amici dei Musei, la copia del Caravaggio rubato dall’Oratorio di S. Lorenzo a Palermo.
In effetti se non ora quando? Se non sarà possibile nell’anno di Palermo capitale, quando? “Non so più cosa dire e cosa pensare – conclude Maria Antonietta Spadaro, che è anche consulente a titolo gratuito del Comune di Palermo – quando ho ritrovato l’altare ero giovane e convinta che presto avrebbe avuto una sua collocazione, adesso sono molto perplessa”.
Ottimismo arriva invece dal Comune, ma dopo questa storia infinita il condizionale è d’obbligo: “Abbiamo verificato la documentazione tecnica presentata dall’impresa Comes, che si è aggiudicata i lavori – chiarisce l’architetto Paolo Porretto, dirigente del Comune e Responsabile unico del procedimento – siamo certi che massimo entro trenta giorni potremo procedere all’avvio del cantiere. La fine dei lavori è prevista tra circa sei mesi. L’altare oggi è protetto dalle intemperie all’interno della cappella Anzalone, la cui sicurezza è garantita dalla presenza dei custodi”. Fatti due conti, però, l’obiettivo dell’inaugurazione entro la fine dell’anno appare assai difficile.
Il capolavoro di Raffaello incorniciato all’interno dell’altare marmoreo, ebbe un grande successo e numerose furono le copie eseguite anche da autori di alto livello. In tutta la Sicilia si contano almeno venti riproduzioni dello Spasimo, molte delle quali realizzate nel XVI secolo, altre in epoche successive a Catania, Caltanissetta, Castelvetrano, Sciacca e Ganci.
La perdita di quest’opera costituisce un gap rilevante e una volta ricomposta la “macchina marmorea” di Antonello Gagini bisognerà affrontare il problema: cosa incornicerà l’altare che un tempo esaltava il capolavoro di Raffaello?
A fine Settecento, di fronte allo stesso quesito, quando l’opera del Gagini era stata trasferita nella chiesa dei Gesuiti, la soluzione trovata per colmare il “vuoto” era stata quella di inserire una pala marmorea del Marabitti, grazie all’adattamento eseguito dallo scalpellino e architetto Josuè Durante. Oggi si potrebbe proporre l’alternanza di copie d’autore e d’epoca, in attesa di convincere il museo madrileno del Prado a cedere in prestito il quadro raffaelliano per una mostra temporanea a Palermo. Sperare è lecito e vuole essere un augurio per la città.
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15 Aprile 2018, 13:07