20 Settembre 2010, 10:36
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di ATTILIO BOLZONI (www.repubblica.it) In quanto tempo si può costruire secondo voi una casa di tre piani? In un anno? In due? In Sicilia, c’è qualcuno che l’ha fatto in ventuno giorni e in ventuno notti. E fra pilastri e muri portanti ogni particolare è stato ben curato e rifinito, nelle stanze di sotto e anche in quelle di sopra, in cantina, in terrazza. Per il momento il signor N. F. nella sua casa non ci potrà abitare – è stato denunciato sette volte per abusivismo e per sette volte i carabinieri hanno messo i sigilli all’immobile – ma lui sa già che prima o poi lì dentro farà entrare la sua numerosa famiglia.
Siamo tornati a Gela dopo un lungo distacco e quaggiù, estremità aspra che si affaccia sul Mediterraneo, è ancora difficile capire se il vero miracolo sia quello riuscito al signor N. F. che in meno di tre settimane ha visto nascere il suo palazzo oppure quell’altro inseguito dal 1968 e finalmente apparso alla città intera in questa fine d’estate. Si materializzerà a tutti il prossimo 24 settembre con tanto di timbro e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale: dopo quarantadue anni di attesa anche Gela avrà il suo piano regolatore generale, dopo quarantadue anni di scorribande edilizie anche a Gela si dovrà costruire secondo legge come nel resto d’Italia.
Il problema del signor N. F. forse era proprio questo: fare in fretta, avere pronto il suo nuovo alloggio prima del 24 settembre 2010. Prima del piano regolatore. La guerra delle case in Sicilia non è mai finita e se volete scoprirne di più seguiteci in questo viaggio che s’inoltra in una casba, una delle tante sull’isola, Gela come metafora dell’abusivismo più primitivo, un marchio di capitale del male che si porta dietro per una faida mafiosa ormai lontana e un oggi scivoloso ma non più disperato, appeso al desiderio di non morire di cemento.
E allora eccoci ancora nella Gela delle sue incoerenze più violente, dove fra le mura di Caposoprano cercano la tomba di Eschilo e dove intorno a una casa color rosso pompeiano in via dell’Ara Pacis il paesaggio urbano è un gigantesco blocco di tufo giallo, cubi, scheletri, porte e finestre murate che si inseguono fino a quando la casa a tre piani di N. F. svetta in un cielo blù dove non si spingono nemmeno i fumi del Petrolchimico. La prima volta hanno sequestrato il cantiere a gennaio, quando le ruspe scavavano ancora per le fondamenta. Il giorno dopo qualcuno ha violato i sigilli e qualcun altro ha continuato a spostare terra. Sono arrivati altri sigilli e sono stati chiamati altri operai, nuove denunce e tre imprese che si sono alternate per i lavori anche con il buio. Al diciottesimo giorno a N. F. è stato notificato l’obbligo di firma, ogni mattina e ogni sera costretto a passare in caserma. Ma alla fine la sua casa adesso è la, come lui la voleva.
Quello di via dell’Ara Pacis è uno dei 174 edifici sequestrati dall’inizio dell’anno a Gela (nel 2009 erano stati 192), quando la frenesia costruttiva è divampata un’altra volta. In vista del Piano regolatore la giostra del mattone ha ricominciato a girare. Dalla via dell’Ara Pacis scendiamo verso il lungomare e fra la collina e le dune di sabbia, all’angolo di via Federico II°, i gelesi hanno assistito a un altro miracolo: una villetta di cento metri quadri con i tetti spioventi come uno chalet di montagna, tirata su fra le palme. “Il proprietario del terreno non sapeva niente fino a quando non gli è stato notificato l’ordine di demolizione, un altro è andato lì e ha costruito”, racconta Giampiero Occhipinti, il comandante della sezione di polizia giudiziaria dei vigili urbani che indaga sui crimini urbanistici. Spiega Occhipinti: “Rispetto al passato gli abusi sono cambiati: prima costruivano solo nuove case, adesso la metà degli abusi riguardano sopraelevazioni, secondi e terzi piani”. Come la palazzina di fronte all’assessorato urbanistico, in via Chopin. Piloni, travi e un altro tetto “spuntato” prima di Ferragosto.
Ma se una volta, 30 o 40 anni fa – quando Enrico Mattei ha portato gli stabilimenti dell’Eni e Gela ha cominciato a vivere il suo sogno texano, dilatandosi esagerata e fino a contare 100 mila abitanti – tutti dicevano che era abusivismo “di necessità”, in questi mesi si fanno case fuorilegge per figli e nipoti, ville e villoni. E tra almeno 20 mila immobili costruiti senza uno straccio di autorizzazione e almeno 16 mila richieste di condono insabbiate, non è mai stato demolito neanche un muretto. E’ un altro dei miracoli di questa città in bilico fra lo sprofondare nel passato e la voglia di cambiare. “Adesso però si volta pagina”, giura Angelo Fasulo, avvocato che è sindaco da tre mesi, “adesso c’è uno strumento urbanistico di programmazione generale vero. Sappiamo cosa dobbiamo fare e dove dobbiamo farlo”. Avverte il sindaco: “Non è più il tempo delle incertezze né il tempo di pensare che per costruire una casa bisogna trovare l’amico giusto. Ora c’è solo la legge da rispettare, ci saranno delle demolizioni, Gela deve tornare quello che era prima: una bella città della Sicilia”.
Purificare il territorio, eliminare gli orrori. Ma come? Il nostro viaggio ci trasporta a Scavone, sfioriamo le palazzine pericolanti dell’Istituto Autonome Case Popolari – da una dozzina di anni disabitate, abbandonate, carcasse che pencolano minacciose davanti ai lidi dove montagne di sabbia scendono a picco su un mare verdastro – e poi a Settefarine, che è il tracciato più antico del labirinto gelese. Via Boccanegra, via Ghirlandaio, via Juvara, via Indovina. Non c’è un albero, solo il tufo giallo che acceca e che soffoca. E poi le strade dei santi: via Santa Rita, via San Cristoforo, via San Giuseppe, via San Camillo. Case una attaccata all’altra, una dentro l’altra. “Tutta colpa di chi ci ha amministrato: non hanno dato regole, nessuno si è mai preso una responsabilità, l’assessorato all’Urbanistica non ha mai funzionato, lì dentro ognuno fa quello che gli pare”, denuncia Giovanni Peretti, un imprenditore che per vedere approvato il progetto del suo albergo ha dovuto aspettare otto anni. Su e giù ogni giorno fra l’assessorato all’Urbanistica e il niente, una terra di nessuno che ha favorito i furbi e i ladri. E i soliti funzionari dell’Urbanistica. Sempre gli stessi. Sfregiata più dalla burocrazia che dalla mafia, Gela si contorce nelle sue deformità.
Il giorno della cerimonia di presentazione del piano regolatore – alla procura e alle redazioni dei quotidiani locali è arrivato un anonimo. La lettera di un abusivo: “Sono proprietario di un terreno con destinazione d’uso agricolo… per 25 anni ho fatto istanza per variare la destinazione ma mi hanno rigettato la domanda perché non c’era il Piano regolatore”. L’anonimo racconta che ha provato ad acquistare una casa – in cooperativa, edilizia popolare – ma gli sarebbe venuta a costare più di 220 mila euro. Concludeva: “Così per avere un tetto nella stessa periferia nord, visto che il Prg non arrivava mai, sono diventato un abusivo”.
Abusivi non si nasce ma si diventa, anche a Gela che ha sempre avuto una mala fama. Ma da questo settembre tutto cambierà, vero? “L’abusivismo non è una calamità naturale e non è necessariamente frutto di una mentalità, qui ha avuto inizio in un periodo ben determinato e ha avuto delle ragioni ben determinate, questo ha sedimentato abitudini”, risponde il procuratore capo della repubblica Lucia Lotti che ha dichiarato una guerra senza tregua a piccoli e grandi scempi. E soprattutto a chi favorisce o protegge il business di mattone selvaggio.
Da qualche mese a Gela sequestrano anche gli impianti che forniscono calcestruzzo agli abusivi. A qualcuno viene dato il divieto di dimora in città. Ad altri, come al signor N. F., l’obbligo di presentarsi due volte al giorno in caserma. Ma tra una firma e l’altra sul librone dei “sorvegliati”, come abbiamo visto, ha trovato il modo di farsi – e di corsa – la sua nuova casa.
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20 Settembre 2010, 10:36