22 Marzo 2017, 16:32
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CATANIA – Il pilastro difensivo del processo Gettonopoli, che vede 34 consiglieri e 17 segretari del Comune di Catania accusati di truffa e falso, è insito nel regolamento stesso che disciplinava nel 2014 le Commissioni Consiliari Permanenti. In attesa dell’udienza preliminare e dopo aver sviscerato i punti nodali dell’accusa che hanno portato all’imputazione coatta è fondamentale analizzare gli elementi fondanti della difesa.
Partiamo da un dato: a Palazzo degli Elefanti per i gettoni è fissato un tetto massimo percepibile. Nello specifico “lo Statuto prevede – si legge in una delle memorie difensive depositate all’ufficio Gip – che l’ammontare del singolo gettone di presenza erogato ai consiglieri è pari ad € 75.51 e ciascun consigliere non può percepire più di € 27.07 gettoni di presenza mensili. Pertanto, i consiglieri comunali possono percepire un importo lordo mensile pari ad un massimo di € 2.044,49”.
Da questo si deduce che “l’eventuale partecipazione ad un numero superiore di commissioni sarà, quindi, a titolo gratuito”. Molti dei consiglieri imputati hanno superato il tetto delle 27 sedute e quindi partecipato a commissioni “a titolo gratuito”.
Ma andiamo ai termini numerici. “Ai consiglieri comunali – si legge ancora nella memoria difensiva – viene elargito un gettone di presenza di circa 75 euro per le prime 27 presenze mensili e di circa 8 euro per la ventottesima presenza. Ogni eventuale presenza successiva alla ventottesima non è oggetto di liquidazione, perché con le 28 si raggiunge il tetto massimo percepibile”.
Nell’ipotesi accusatoria- scaturita da una denuncia del Movimento 5 Stelle riportata in un articolo stampa – si parla della durata di partecipazione di pochi minuti e della presenza (quasi in contemporanea) in due Commissioni diverse. Già i consiglieri comunali coinvolti nell’inchiesta hanno ribadito l’aspetto logistico della vicinanza di alcune sedi dove si svolgevano le sedute di Commissioni, ma c’è il profilo squisitamente giuridico che i difensori hanno evidenziato al Gip: “Nessuna norma, sia del Regolamento delle Commissioni Permanenti che dello Statuto del Comune di Catania, prevede una partecipazione minima in termini orari da parte dei Consiglieri alle singole sedute delle Commissioni al fine di percepire il “gettone di presenza. Il gettone alla luce della normativa liquidato esclusivamente in ragione della presenza, definita effettiva, ma non esiste nessuna norma che indichi cosa si debba intendere per effettiva”. In conclusione “anche la partecipazione ad un minuto della seduta del Consiglio Comunale o della Commissione Consiliare determina la liquidazione del gettone di presenza”.
Le discrepanze che emergono dalla lettura dei verbali (la contestazione riguarda il 2014) di Commissione sono per il collegio difensivo “palesi errori materiali”, che sono frutto “dell’elevata mole di lavoro in capo ai segretari di commissione, ed alla mancata sincronizzazione degli orologi, che comporta, inevitabilmente discrasie sugli orari”.
L’esame di questi aspetti “consente – si legge ancora nella memoria difensiva – di illustrare la sostanziale impossibilità di configurare i reati di truffa e falso”.
Per l’accusa i Consiglieri attraverso la falsificazione dei “verbali avrebbero ottenuto degli emolumenti in realtà non dovuti. Il profitto ingiusto, con pari danno della Pubblica Amministrazione, sarebbe stato raggiunto attraverso il raggiro o artifizio della falsificazione del verbale”. Ma su questo punto la difesa evidenzia “come il Consigliere maturi il diritto al gettone di presenza in ragione della effettiva presenza, e inoltre, come la soglia delle 27-28 presenze mensili alla partecipazione alle Commissioni Consiliari costituisca uno sbarramento alla erogazione di emolumenti ulteriori. In buona sostanza ogni presenza ad una Commissione successiva alla ventottesima non determina alcun profitto per il Consigliere e conseguentemente nessun danno per la Pubblica Amministrazione”.
A questo punto la difesa si sofferma “alla condotta strumentale ed ovvero di falsificazione del verbale” e cioè al fatto che “alcuni verbali conterrebbero la non vera affermazione della presenza di determinati consigliere che in tal modo avrebbe percepito un ingiusto profitto”. Ma nella memoria difensiva si pone l’accento a “una lacuna teorica che sembra difficile da colmare”. La “redazione del verbale è appannaggio del segretario di commissione, dipendente comunale” che riceve uno stipendio autonomo rispetto al numero di verbali redatti e al contenuto degli stessi. “Non sono previste indennità specifiche per la funzione di segretario e la partecipazione ai lavori delle Commissioni. Ciò posto – si evince nella memoria difensiva – non può essere individuato l’elemento psicologico del reato di falso anche qualora nel verbale redatto vi fossero degli errori o delle imperfezioni”.
Ribadita questa premessa, la difesa si domanda: “In virtù di quale elemento si potrebbe sostenere che il singolo segretario abbia inteso favorire un consigliere o più consiglieri perché gli stessi potessero percepire emolumenti non dovuti?”.
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22 Marzo 2017, 16:32