Gibellina metafora della Sicilia: le Orestiadi e Francesca Corrao

di

01 Agosto 2021, 12:48

6 min di lettura

Una ragazzina in viaggio con papà è molto probabilmente una ragazzina felice. Lo è di certo Francesca quando a 13 anni si trova in vacanza a Tunisi con il padre Ludovico. Incuriosita dalla lingua, ammaliata dagli edifici e dalle moschee, rallegrata dai colori e dagli odori che la circondano, dai profumi che provengono dal souk, profumi d’incenso, di fiori ed erbe, di henné, Francesca s’innamora del deserto, dei tappeti, del vociare tipico della Medina, e soprattutto le piace che sua cugina, – siciliana nata a Tunisi dove durante il fascismo la famiglia si era rifugiata come molti trapanesi – parli l’arabo, una lingua incantevole alle sue orecchie. La sua passione per le favole la porterà a studiare “Le mille e una notte” in arabo. Così nasce il profondo interesse per quel mondo che rende il padre felice di questa scelta, anche perché Ludovico era molto interessato a conoscere attraverso la figlia l’influenza della cultura araba in Sicilia.

Oggi Francesca Maria Corrao, che insegna Lingua e Cultura Araba alla Luiss di Roma ed è membro dell’Union of European Arabist and Islamist, ricopre la carica di Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Orestiadi di Gibellina di cui dirige anche la sezione Poesia. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni e le sue ricerche vertono su temi di letteratura, poesia, storia e cultura dei paesi arabi.
 Le Orestiadi, rassegna internazionale di teatro, arti visive, musica, festeggiano quest’anno 40 anni di spettacoli; sino al 7 agosto sarà un carosello di performance che andranno in scena tra il Baglio Di Stefano e il Cretto di Burri.

Ludovico Corrao politico e intellettuale siciliano, visionario sindaco di Gibellina dopo il terremoto del Belìce ha pensato di far risorgere la città dalla tragedia attraverso l’arte. “La sua voce, la sua personalità, le sue azioni erano volte a fare rinascere la cultura siciliana, che non è mai morta ma è marginale rispetto a quella nazionale e mondiale. Con la creazione di Gibellina si è voluto dare coraggio a tutti i siciliani, non è un caso che mio padre abbia voluto chiamare gli artisti perché questi hanno una visione più alta e più ampia della normale vita quotidiana. Hanno la capacità di lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Gli artisti con l’arte trasformano il dolore e danno speranza”.

Una visione poetica. “Certamente una visione che guarda al bello, alla parte buona dell’essere umano. Non si tratta di una bellezza contemplativa fine a se stessa, ma di una bellezza buona e utile, fatta di lavoro, in sinergia. Una visione astratta che si trasforma in concreta perché riguarda gli artigiani che hanno lavorato alla realizzazione delle scenografie delle Orestiadi, e anche tutta la comunità e il territorio. Una struttura permanente per valorizzare quel luogo offeso dalle calamità naturali e dall’avidità umana, un paese come Gibellina costruito non in nome della bellezza ma del guadagno.”

Gli abitanti rimasti erano spaesati. “E lì il secondo appello di mio padre agli artisti. Aveva capito che servono più punti d’incontro, le piazze, invece di strade anonime incapaci di ricostruire il ricordo della propria identità. Ed ecco che risponde all’appello Emilio Isgrò con Gibella del Martirio, San Rocco al balcone e le Orestiadi alle quali ho aggiunto le opere arabe. Sono laureata in in arabo e specializzata in poesia e letteratura popolare, il mio primo lavoro a Gibellina per la cultura siciliana è stato quello di recuperare la memoria dei poeti arabi che erano vissuti in Sicilia tra l’830 e il 1100, quando arrivarono i Normanni. Ho fatto le traduzioni, i massimi poeti italiani li hanno messi in versi per poterli declamare in pubblico, tra questi Emilio Isgrò e Ignazio Buttitta, che le hanno tradotte in siciliano. Ho anche organizzato nel 1987 il primo “Incontro di poesia nel Mediterraneo” con la presentazione del mio libro Poeti arabi di Sicilia”.

Anche le Orestiadi sono in siciliano. “La scelta del siciliano era un modo per essere vicini alla gente e dare energia a questa identità culturale che è fatta di una struttura linguistica arricchita nei secoli dagli apporti delle diverse lingue parlate nella nostra terra. Un’operazione di recupero”.

Articoli Correlati

C’è stato un altro recupero importante quello della tragedia di Cleopatra. “Sì, non nell’interpretazione fatta da Shakespeare ma in quella di Ahmead Shawqi, un poeta e drammaturgo egiziano dei primi del Novecento, che dipinge Cleopatra non come una traditrice, ma piuttosto una protonazionalista che fa di tutto per salvare il suo Paese e il futuro dei suoi figli, mantenendo in equilibrio la sua identità di donna autonoma con il dovere di chi governa un regno con una grande storia da preservare e tramandare salvandolo dal colonialismo romano con l’arte della politica”.

Casa Sicilia” a Tunisi è stato uno dei primi luoghi d’incontro e dialogo tra popoli e culture. Chiusa per un periodo adesso chi se ne occupa? “Casa Sicilia’ nasce con l’intento di fare collaborare gli artisti con gli artigiani così come era stato fatto a Gibellina con Arnaldo Pomodoro e Pietro Consagra, che lavoravano con le manovalanze locali per qualificarle attraverso esperienze innovative. La stessa cosa mio padre l’ha realizzata nel cuore di Tunisi, a Dar Bach Hamba, dove c’era un’importante comunità italiana, nel centro del mercato. Abbiamo affittato un magnifico palazzo del ‘600 dalle suore francescane con l’idea di aprire una sede dove poter raccogliere le testimonianze della collaborazione artistica e culturale degli artigiani tunisini e siciliani. Abbiamo organizzato mostre, letture di poesia, convegni”.

Cosa è accaduto in seguito? “Non abbiamo più avuto il sostegno economico della Regione siciliana, noi figli abbiamo affrontato gravi difficoltà e abbiamo rinunciato all’eredità per cercare di mantenere viva la testimonianza del lavoro di nostro padre. Dopo la sua morte il centro culturale è passato nelle mani di un gruppo di artisti tunisini di grande valore, che collaborano con gli artigiani e i giovani della Medina, in uno scambio tra arte e artigianato. Noi oggi grazie al grande impegno dell’attuale presidente della Fondazione Orestiadi, l’onorevole Lillo Pumilia, e all’energia e capacità del direttore del museo delle ‘Trame del Mediterraneo’, l’architetto Enzo Fiammetta, siamo riusciti ad allestire l’ultima mostra nel febbraio del 2020, prima dello scoppio della pandemia. In ogni modo anche se in maniera diversa il rapporto artistico-intellettuale continua a vivere”.

Obiettivi futuri? “La cosa più impegnativa è rilanciare e consolidare tutte le attività, consapevoli delle difficoltà del presente ma con la voglia di fare sempre di più. Le priorità vanno al lavoro, a dare speranze ai giovani, quindi più formazione creativa che richiami ancora gli artisti a Gibellina. Oltre a confermare l’impegno di educare all’arte i più piccoli, compito svolto da Elena Andolfi, responsabile dei servizi didattici, tessitrice di un importante legame con le scuole e il territorio. Il mio sogno però è quello di riprendere le Summer University, già organizzate in passato con artisti e architetti. Creare per i giovani siciliani, un punto di eccellenza per l’innovazione, abbiamo un patrimonio di creatività che va rilanciato e riorganizzato secondo i linguaggi moderni”

A Gibellina oltre alla musica e al teatro anche la fotografia. “Abbiamo un importante festival Image che si svolge ogni due anni, diretto da Arianna Catania, importante critica e fotografa. La città e il museo collaborano su più piani anche su quello museale. Il Museo delle Trame volutamente guarda al connubio tra arte, artigianato, arti visive in generale, mentre il Mac, Museo d’arte contemporanea, che espone la collezione creata da papà sin dagli anni ’70, è l’altra faccia della medaglia”.

Pubblicato il

01 Agosto 2021, 12:48

Condividi sui social