10 Gennaio 2013, 11:32
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CATANIA – La compagnia del Gatto Blu, lo storico gruppo appena trentaseienne, ha come capitano il comico Gino Astorina, intervistato a tutto tondo da LiveSiciliaCatania. Ci siamo appena seduti attorno ad un tavolino fuori dal bar. Ha il volto disteso, forse perché è sabato mattina. Nemmeno il tempo di iniziare e già mi ringrazia. “Vaia dari soldi”???? – esordisce. L’ho incontrato in più occasioni negli ultimi tempi ma sempre di sfuggita: l’ultima volta, per la presentazione del libro del professore Garrone, “Stupidità”. Stavolta, invece, “la mia preda” sta lì buona buona in attesa di subire!
“Catania vive un fermento culturale – afferma Gino Astorina – che è molto stimolante per noi artisti; c’è la voglia di fare sempre di più, sempre meglio e, sinceramente, la concorrenza non mi spaventa. Anzi. Sono ben felice quando c’è perché affina il prodotto”. Ce lo insegnano sin dai banchi di scuola: non sei bravo se manca il termine di paragone ma solo se tra tanti sei stato scelto. “Esatto – rincara Astorina – Se io vengo da te è perché ti ho scelto e non perché non c’era alternativa”.
Cosa pensi del momento storico che viviamo?
“Non penso ci siano momenti più belli o più brutti rispetto a quelli che viviamo: è la stagione della vita. Mio padre diceva sempre: << Beati voi giovani che rispetto ai miei tempi state meglio>> mi sono accorto peró che questo leit motif è in bocca anche i miei coetanei riferendosi alle nuove generazioni”.
Come stanno le cose, allora?
“Dipende dagli obiettivi che vogliamo raggiungere, semplice. Aldilà di tutto, ti confesso che già al mattino sono allegro perché mi alzo sulle mie gambe, apro gli occhi e vedo, mi lavo i denti nel mio bagno e sono entusiasta di dover affrontare una giornata. A volte sono imbronciato ma solo perchè devo riordinare le idee ed ho bisogno dei miei tempi, non di tempi lunghi ma semplicemente dei miei tempi”.
Qual è il rituale a cui non rinunci?
“Il massimo della goduria è svegliarmi al mattino e fare la barba con tutto il tempo a disposizione, con il piacere di fare la barba”.
E un pó posso capirlo, se penso al momento make up, un rituale che noi donne amiamo concederci dinnanzi ad uno specchio grande e ben illuminato. In entrambi i casi si innesca un meccanismo strano: la tua anima è messa a nudo. Che tu sia pronta o no, in quel momento puoi rimproverarti o perdonarti qualcosa.
“Esatto. Per questo è importante avere il giusto tempo”, conclude Gino Astorina.
Quali sono gli insegnamenti che provi a trasmettere alle tue figlie?
“Non ti rispondo i valori che tra colesterolo e derivati, a Natale, sono sempre in aumento. Io credo che non si nasca ne madri, nè padri. Quando mi trovo in difficoltà guardo la natura”.
E mi spiega, con un monologo molto interessante, in che modo si rifà alla natura: “Le mie figlie crescono e mi chiedono le chiavi di casa: gliele consegno o no? Che fare? Poi mi chiedo: il papà fringuello quando fa spiccare il volo alla fringuellina? Quando può badare a se stessa. Si tratta di capire, quindi, quando è arrivato il momento. Non si può codificare in base all’età, al comportamento”.
Tua moglie condivide questo modus operandi?
“Credo che mia moglie sia in odore di santità. E sai, dopo ben 30 anni di matrimonio … Lei rappresenta la parte più equilibrata, giudiziosa; è madre di tre figli” – dice sorridente. “Con lei ancora rido e c’è la scoperta e il piacere di stupire. <<Quanto sei cretino>> è la frase che mi dice e mi piace più di un ti amo”.
Qual è la cosa più bella del tuo mestiere, se è il tuo mestiere. Cosa farai da grande?
“Il mio mestiere rappresenta la nota dolente di mia madre che non fa passare giorno senza che mi dica: <<stai lavorando?>> Per lei, come per molti della sua età, vale il retaggio lavoro uguale fatica, con annessa levataccia alle 5 del mattino. Quando non mi vede in televisione crede che non stia lavorando, insomma ė convinta che mi paghino a passaggio! D’altronde dal siciliano,”travagghiu” che significa appunto gestazione lunga, complessa, faticosa con note di sofferenza. Ma non deve essere cosí, è chiaro” – precisa Gino.
Quando hai capito che avresti fatto l’attore?
“Ti stupirò, ma non l’ho capito. Mi sono trovato in quelle vesti. Tempo fa avevo un’attività commerciale nella quale rimettevo i soldi che guadagnavo con il divertimento. Assurdo. Questa è la dimostrazione che il lavoro è ciò che ognuno di noi vive, anche se per un solo minuto: fá una cosa seriamente, con impegno e professionalità e quello è lavoro.
L’artista vive up & down. Ti è mai capitato?
Fa mille smorfie prima di rispondere: “Tra le mie preghierine chiedo sempre di non farmi diventare patetico. Non concepisco l’artista che si veste utilizzando atteggiamenti codificati e si riconosce solo se entrando al bar viene riconosciuto dal pubblico. L’unico riconoscimento che chiedo al pubblico è di commentarmi, in positivo o negativo, a seguito di uno spettacolo. Criticatemi, parliamone ma non basta il saluto per strada. Sono per la ‘popolarità costruttiva’, insomma. Altrimenti è come se mangiassi riso soffiato … “non mi inchi a panza”!
Poi parliamo della Rassegna di cabaret, che riparte il 10 gennaio all’interno della sala Harpago di via Vittorio Emanuele.
“Il cabaret ci rende ancora picciriddi, nonostante uno dei componenti compirá 60 anni e fino a ieri sera giocavamo come bambini, facendoci gli scherzi! Dopo Alessandra Fajella, il primo nome del cartellone, la compagnia Gatto Blu va in scena con la traduzione in italiano di “U megghiu si tu”. E’ l’espressione tipica che ti viene rivolta quando, tra amici, ti mostri solare, nascondendo i mille pensieri che frullano nella tua testa e le preoccupazioni che portiamo tutti”.
Da qui, allora, trae origine lo spettacolo che è interattivo in quanto gli attori dialogano col pubblico fatto di amici più o meno veri ma tutti desiderosi di ridere!
Chi è Gino Astorina? Te lo sei mai chiesto?
“Eh. Sono uno che sul palco si porta tutti i vizi e devo toccare, sentire fisicamente. Non riesco a salutarti a distanza perchè sento il bisogno di avvalermi di tutti e cinque i sensi. Sono possessivo anche nell’amicizia. “L’amicu me” – dice quasi recitando – E magari sbaglio perchè mi dó senza riserve e corro il rischio che il mio atteggiamento risulti invadente. Se c’è una difficoltá, un problema questi diventano miei.
Dove nasce il Gatto blu?
“La prima sede del Gatto Blu è stata in via Raddusa, nelle zone di piazza Duomo. Una specie di garage in grado di ospitare 50 ospiti. Avevo 19 anni. Poi si sono presentate alcune possibilità per spiccare il volo ma abbiamo preferito mettere radici. Il sogno di ogni attore è recitare in un proprio teatro. Abbiamo fatto un percorso al contrario: ci esibivamo nelle discoteche, luoghi in cui i ragazzi mal sopportavano la nostra presenza. Il genere piaceva molto ma la sede era inadeguata. Da lí poi all’attuale sede di via Vittorio Emanuele. Ogni sera c’è una magia: a pochi passi dal camerino, giro a sinistra e trovo il sipario”.
Il teatro come la tua casa, in cui ospitare gli amici.
“Si, e proprio perchè sono a casa mia – racconta con enfasi – che mi sento pronto ad affrontare la fiera del pubblico. E’un’emozione troppo bella: non sono io che vado a cercare il pubblico è lui che viene a trovarmi e perchè no, a bacchettarti, se occorre!
Ci siamo detti tanto ma ho l’impressione che manchi ancora qualcosa. Gino, c’è qualcosa che vuoi dire, lo sento!
” Lo so, lo so. Mi sarebbe piaciuto parlare di altri. Di chi non ha voce, di chi non ha la possibilità. Di voi giovani. Trovo eccessivamente stupido da parte di chi ha paura dei giovani e soprattutto teme di <lasciare il timone>. Io amo voi giovani e riconosco che siete molto più svegli e veloci dei ragazzi della mia generazione. Trovo che vi stiamo togliendo il sorriso, l’entusiasmo, la gioia di fare e di sbagliare.
Grazie – mi dice. “Sono con te e sto facendo il piendo di energia. Mi ricarico le batterie”.
Ho capito, penso tra me e me, ci rivedremo.
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10 Gennaio 2013, 11:32