08 Aprile 2021, 13:32
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PALERMO – “Ci sono evidenti e gravissime violazioni di fondamentali diritti, sanciti e garantiti dalla Costituzione italiana, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dal codice di procedura penale”, dice Michele Calantropo,
L’avvocato palermitano è finito nel calderone delle intercettazioni nell’inchiesta della Procura di Trapani sulla Juventa, la nave della Ong tedesca Jugend Rettet, accusata di concordare i soccorsi con i trafficanti di migranti.
Una giornalista, Nancy Porsia, è stata intercettata per mesi senza essere stata iscritta nel registro degli indagati (circostanza prevista dal codice quando è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini e in presenza di gravità indiziaria del reato). Gli investigatori, ascoltando Porsia, volevano indirettamente acquisire notizie utili all’inchiesta che stavano conducendo.
Sono state trascritte e depositate (è questo è il nodo principale) le conversazioni della giornalista, in forma integrale ma per la maggior parte in forma riassuntiva, mentre lavorava alle sue inchieste e parlava con colleghi e avvocati.
Solo dal primo settembre del 2020 – dunque dopo questa inchiesta che è del 2017 – la legge impone ai pubblici ministeri di trascrivere solo le intercettazioni rilevanti. Le altre devono finire in un armadio blindato e restare segrete.
Il procuratore aggiunto Maurizio Agnello, che non era a Trapani quando i telefoni sono finiti sotto intercettazione e oggi regge la Procura in attesa della nomina del capo dell’ufficio, ha assicurato la distruzione delle conversazioni che dunque non saranno più utilizzate. Ma Calantropo si chiede “chi ha controllato quali fossero le carte da depositare in questo fascicolo?”.
“Si è trattato di un’ingerenza inammissibile – aggiunge il penalista – specie se coinvolge persone di comprovata esperienza giuridica. Nel mio caso sono state ascoltate vicende che riguardavano strategie processuali. Non è un problema mio, in quanto avvocato Calantropo, ma dell’intero Paese. Sono i cittadini a meritare una risposta, non solo io”.
Il ministro della Giustizia Marta Cartabia ha avviato accertamenti urgenti per capire cosa è accaduto, ma la catena degli eventi si può già ripercorrere attraverso gli atti depositati con l’avviso di conclusione delle indagini.
Tutto inizia il 30 giugno 2017 quando il Servizio centrale operativo, la Squadra mobile di Trapani e la Guardia costiera chiedono in via d’urgenza di intercettare la giornalista. Nella nota firmata dell’allora dirigente Fabrizio Mustaro si parte da una premessa: “È opportuno premettere che la Porsia è una giornalista italiana freelance esperta di Medio Oriente e Nord Africa. La stessa di base in Libia dalla fine della rivoluzione ha raccontato alla guerra civile in quel paese. Specializzata sulla migrazione la giornalista ha raccontato non solo il mondo dei giganti ma anche quello dei trafficanti”.
L’urgenza nasce dal fatto, e lo scrive l’1 luglio il sostituto procuratore di Trapani Andrea Tarondo, da cui arriva il primo via libera alle intercettazioni, che Porsia “è stata recentemente autorizzata a salire sulla Prudence e ciò ha destato preoccupazione negli indagati i quali temono che la Porsia abbia potuto venire a conoscenza di linee guida interne che prevedono il divieto per gli operatori di acquisire consegnare alla polizia fotografie ed altro materiale atto a far conoscere persone e contribuire alle indagini”.
Il 3 luglio il giudice per le indagini preliminari Caterina Brignone convalida il decreto di urgenze emesso dal pm e dispone di intercettare la giornalista per 15 giorni”. Sarà la prima di una lunga serie di proroghe.
Pm e poliziotti ascoltano la giornalista e scrivono che vengono fuori “elementi di assoluto rilievo per le indagini”. Porsia lavora ai suoi reportage e alle inchieste con grande professionalità e bravura. Lo sanno bene gli investigatori che chiedono di “spiare” il suon telefonino “al fine di acquisire rilevanti spunti investigativi non altrimenti conseguibili”.
I poliziotti non smettono di ascoltarla neppure dopo averla convocata e sentita come persona informata sui fatti. Di proroga in proroga, chieste dai pubblici ministeri e disposte dai gip Caterina Brignone ed Emanuele Cersosimo, si arriverà fino al successivo dicembre.
E così finiscono nelle trascrizioni non solo le conversazioni con altri giornalisti, direttamente o indirettamente ascoltati, (Nello Scavo, Sergio Scandura, Sergio Nazzaro, Francesca Mannocchi, Antonio Massari, Claudia Di Pasquale e Fausto Biloslavo), ma pure con gli avvocati come Alessandra Ballerini, Serena Romano, Fulvio Vassallo Paleologo e Michele Calantropo e per vicende che nulla hanno a che fare con l’inchiesta di Trapani.
Calantropo e Romano avevano chiesto la consulenza di Pelosi in altri processi. Calantropo ad esempio difendeva e difende Medhanie Tesfamariam Behre, condannato a cinque anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in primo grado nel corso del processo in cui è emerso un clamoroso errore di persona. L’imputato non è, come sosteneva la Procura di Palermo, un pericoloso trafficante di uomini ancora latitante. Il processo di appello è in corso. La testimonianza di Porsia non fu ammessa dalla Corte di assise di Palermo perché ritenuta irrilevante.
In caso di conversazioni che riguardano gli avvocati e i loro clienti per questioni professionali le registrazioni sono vietate e non devono essere trascritte. Non è questo il caso, visto che che si parlava della possibilità di citare Porsia in un altro processo. Secondo Calantropo, sarebbe stata un’ingerenza inaccettabile. Sarà la verifica disposta dal ministro a valutare il rispetto o meno delle procedure nell’inchiesta di Trapani.
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08 Aprile 2021, 13:32