Giornalisti, politici e “pressioni” | Via D’Amelio, cade l’ultimo alibi

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26 Gennaio 2020, 06:05

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PALERMO – È giunto il momento che cada uno degli ultimi argomenti che resiste alle macerie. Nelle aule di giustizia si continua a ripetere che Vincenzo Scarantino, il falso pentito delle indagini sulla strage di via D’Amelio, sia stato “costretto” a ritrattare le iniziale accuse che due decenni dopo si sarebbero rivelate carta straccia.

Erano soprattutto i parenti, così si sostiene, a fare pressioni sul picciotto della Guadagna senza alcuna caratura criminale e che invece qualcuno ritenne essere “meritevole” di partecipare alla preparazione della strage.

Parenti e non solo, le cui pressioni furono scambiate per un segnale della bontà dei racconti del collaboratore di giustizia. Se qualcuno voleva zittirlo significava che temesse per le sue verità farlocche.

Il punto è che, leggendo nuove carte processuali, non c’è uno straccio di prova per parlare di pressioni. Eppure se ne continua a sventolare l’esistenza, quasi a volerne fare un alibi per non ammettere che c’erano tutti i presupposti per non fidarsi di Scarantino.

In realtà parlare di “carte nuove” è un azzardo. Sarebbe più opportuno definirle “carte finite nella palude giudiziaria”. In questi mesi i pubblici ministeri di Caltanissetta, che hanno ridotto in macerie le bugie di Scarantino, stanno spulciando vecchi fascicoli a carico di ignoti. Si sono messi di buona lena per controllare gli archivi e hanno scovato importanti documenti giudiziari di cui non se ne conosceva l’esistenza.

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Tra le carte è spuntata una richiesta di archiviazione firmata da Carmelo Petralia e Annamaria Palma, i due magistrati indagati a Messina per calunnia. Avrebbero contribuito al depistaggio talmente grossolano che non stava in piedi neppure allora. I due pm avevano ipotizzato l’esistenza di una “sovrastruttura” che intralciasse le indagini. L’obiettivo era minare la collaborazione di Scarantino attraverso “pressioni poste in essere da Cosa Nostra, direttamente o per il tramite di ambienti ad essa vicini, al fine di indurre Scarantino a ritrattare e di agevolare le persone da lui accusate”.

Era stato aperto un fascicolo a carico di ignoti nel quale confluì “altresì l’ipotesi che il tentativo di fare ritrattare Scarantino era posto in essere anche con tempestive fughe di notizie circa le dichiarazioni e gli atteggiamenti processuali di Scarantino”. Ecco perché si indagò pure per “rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio”. Insomma, si ritenne necessario verificare persino l’operato dei giornalisti. La conclusione fu che “le iniziative giornalistiche ancorché rilevatesi in alcuni casi obiettivamente contrastanti con le esigenze del sereno svolgimento delle attività di indagine sembrano invero rientrare nell’alveo della legittima attività di informazione”. Non si poteva arrivare a identificare i componenti della sovrastruttura. Da qui la richiesta di archiviazione, datata novembre 1996, poi accolta dal giudice.

Solo oggi si scopre che furono eseguiti accertamenti sul conto, tra gli altri, di Maria Grazia Di Donna di Adnkronos, Angelo Mangano di Italia Uno, Paolo Liguori di Studio Aperto, Lino Jannuzzi, Tiziana Maiolo, giornalista e deputata di Forza Italia, Vittorio Sgarbi, allora deputato del Gruppo Misto, ed altri ancora.

Tutta gente che aveva affrontato, in qualche modo, le vicende di Scarantino. Nulla saltò fuori. Niente di niente che potesse fare emergere anche il solo olezzo di chissà quale “sovrastruttura”. Nessuno pertanto finì mai sotto inchiesta. Neppure i parenti. Non fu trovato uno staccio di prova che consentisse ai pm di trasformare il fascicolo da “a carico di ignoti” in “noti”. Eppure ancora oggi, di fronte alle contestazioni degli avvocati Rosalba Di Gregorio e Giuseppe Scozzola che assistono gli innocenti condannati sulla base delle bugie di Scarantino e poi scagionati, si continua a sostenere nelle aule di giustizia che i parenti fecero pressioni per fare ritrattare Scarantino. Magari lo avesse fatto sul serio senza poi ripensarci. Non ci si troverebbe costretti a muoversi tra le macerie e nella palude. Non c’era e non poteva esserci alcuna sovrastruttura mafiosa. Scarantino era un improbabile delinquente di borgata spacciato per boss.

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26 Gennaio 2020, 06:05

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