“Quel giorno non potrò scordarlo mai, ero nella mia casa di campagna, a Partinico…”.
Quel giorno – il 23 maggio del 1992 – la professoressa Nuccia Albano era lontanissima dall’immaginare che, un giorno, sarebbe diventata assessore di un governo regionale siciliano. Era, come oggi, una stimatissima professionista della Medicina legale, già molto impegnata per la guerra di mafia che aveva insanguinato Palermo. Poi, ecco la telefonata.
Quel 23 maggio straziante della strage di Capaci segnò il solco di un dolore indelebile. Non c’è nessuno che non ricordi dov’era. Lo stesso accade per il 19 luglio, con la strage di via D’Amelio.
Cosa dicevano al telefono, professoressa?
“Che c’era stato un attentato. Che erano rimasti coinvolti Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. Era tutto molto confuso. Io mi trovavo, appunto, nella mia casa di campagna a Partinico”.
Come reagì?
“Mi misi subito in macchina per tornare a Palermo, al Policlinico, c’era l’inferno in strada…. Le informazioni erano frammentarie. Si diceva che erano soltanto feriti. Le cose andarono, purtroppo, come sappiamo. Conoscevo bene entrambi e c’era una affettuosa stima reciproca”.

Sono davvero i frammenti di una lunga e terribile stagione.
“Che rimane indimenticabile. Il primo vero choc fu vedere il corpo riverso del nostro maestro, il professore Paolo Giaccone. Conservo il ricordo di un uomo e di un professionista impareggiabile. Negli anni terribili degli omicidi ho portato a termine centinaia di autopsie, con un gravoso impegno anche umano. Non ci si abitua mai”.
A lei toccarono pure le autopsie della strage di Capaci.
“Sì, per primi furono portati in istituto i resti dei poveri ragazzi della scorta. Infine, il dottore Falcone e la dottoressa Morvillo, Giovanni e Francesca. C’è un aspetto”.
Quale?
“I due corpi non presentavano ferite esterne. Morirono per l’onda d’urto dell’esplosione. Fu una questione di attimi e di millimetri: si sarebbero potuti salvare, ne sono convinta”.
Un riscontro duro da sopportare.
“Entrambi, a differenza della scorta, hanno avuto modo di rendersi conto dell’accaduto. Ed è un dolore in più”.
Lei ha affrontato una pubblica polemica per via di suo padre, capomafia di Borgetto. Cosa le è rimasto?
“Mi fa ancora male, ero appena una bambina quando quella vicenda si sviluppò. Ripeto quello che dissi allora: non posso rinnegare mio padre, di quei fatti sono venuta a conoscenza da grande e mi hanno dato una grande spinta a costruire una vita diversa nel segno del bene e della legalità. Tutta la mia vita lo dimostra”.