Il boss Ferrante: "Basta, mi pento", verbali, affari e pizzo

Il boss Ferrante: “Basta, mi pento”, verbali, affari e pizzo

Nuovo terremoto all'Acquasanta. Il capomafia ha già reso diversi interrogatori ai pubblici ministeri

PALERMO – I primi giorni del rovente mese di agosto che sta per finire un detenuto al 41 bis nel carcere di Spoleto chiede di parlare con i magistrati. Quel detenuto è Giovanni Ferrante, 44 anni, che tutti chiamano Nanni. Il boss dell’Acquasanta ha deciso di pentirsi. Racconta di volere cambiare vita per se stesso, per la compagna e per le due figlie. Finiscono tutti sotto protezione. Altri membri della famiglia (Ferrante era già stato sposato) rifiutano la protezione e si dissociano dalla sua scelta.

L’agosto caldo del pentito

Agosto è un mese di grande lavoro per il procuratore aggiunto di Palermo Salvatore De Luca, per il sostituto Dario Scaletta e per i finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria. Ferrante ha già riempito tre, forse quattro verbali che saranno prestissimo depositati nel processo che lo vede imputato insieme altre 84 persone, comprese la compagna Letizia Cinà (intestataria di sette purosangue che gareggiavano nei più importanti ippodromi italiani), il padre Francesco, il fratello Michele e il figlio Francesco Pio. Erano i parenti più stretti a portare le direttive di Ferrante all’esterno del carcere durante il suo precedente periodo di detenzione all’Ucciardone.

Ordini dal carcere

Ordini per gestire gli affari della droga, delle scommesse on line e delle slot machine, delle corse dei cavalli e delle imprese. E poi il pizzo da imporre a tappetto. Titolari di ristoranti e panifici, venditori di frutta e verdura, imprenditori edili, commercianti di materiale da imballaggio, venditori ambulanti durante le feste rionali: tutti dovevano pagare la tassa mafiosa. Oppure erano obbligati a comprare la merce dalle imprese protette da Cosa Nostra: dai sacchetti alla farina per il pane, alla carta per avvolgere pizza e polli da asporto. Ferrante era anche il promotore della riffa di Cosa Nostra con i commercianti costretti a comprare i biglietti per l’estrazione.

“Vi sotterro pure i bambini”

“Domani mattina portate i soldi… vi sotterro pure i bambini piccoli che avete a casa, vi butto il cemento rapido di sopra in un’ora così siete asciutti”: così disse Ferrante a due drivers che avevano ostacolato la vittoria dei suoi cavalli.

I Ferrante e i Fontana hanno condiviso lo scettro del potere con i Fontana a Resuttana, il regno che fu dei Madonia. Gaetano Fontana si è pentito e ora pure Giovanni Ferrante. Ufficialmente Ferrante lavorava alle dipendenze delle cooperativa Spa.ve.sa.na, impegnata all’interno dei Cantieri navali, ma il suon vero ruolo era quello di reggente della famiglia dell’Acquasanta. Conversava dalle finestre della cella e insegnava al figlio i metodi volenti della mafia.

Ucciardone colabrodo

Nel 2015 un suo amico diceva che “…io oggi sono andato a trovare mio compare”. “…affacciò… con la mano, affacciò. Tutto a posto, glielo hai detto… tutto a posto?”. Risposta: “Gli ho detto tutto a posto e poi ce ne siamo dovuti andare perché ci sono state scocciature e ce ne siamo dovuti scappare…”.

Insomma, Ferrante, allora detenuto per mafia, si affacciava dalla cella del vecchio carcere palermitano e riusciva a dialogare con chi stava fuori dal penitenziario che si trova nel centro abitato della città.

Lezioni di mafia al figlio

Lo stesso Giovanni Ferrante impartiva lezioni di mafia al figlio nel corso di un colloquio in carcere: “Tu devi chiamare Pietro, lo fai scendere e fai scendere pure a suo figlio. Unisci un bel gruppo di ragazzi e gli devi dire così, a padre e figlio: dice mio padre, ‘vedete ora di mettervi un tappo in bocca e non parlate più che perché manco vi facciamo uscire più e manco a lavorare vi facciamo scendere. Lo chiudete con una decina quindicina di persone, lo chiudete e gli dici, ‘vedi che qua morite lì’”. Ce l’aveva con una tale Pietro di via Montalbo, una strada nella zona del mercato ortofrutticolo.

Doveva essere una punizione esemplare: “Vi fate trovare con le mazze, legnate a tempesta – diceva – senza perdere tempo, fallo morire là direttamente, non gli dare la possibilità che torna a casa… fategli del male bene bene… e gli dici, ‘ora ve ne potete andare… vai e vedi ti porti un bel po’ di picciotti. Pronti per scannarlo”.

Il padre di Giovanni Ferrante, Francesco, cercava di farlo ragionare: “Sono cose tue, non che il ragazzetto…”. Ma veniva subito redarguito da Giovanni: “Si deve insegnare… devono campare?…oppure possono campare sempre sopra le mie spalle”.

Poi anche la madre, Giuseppa Teresi, manifestava preoccupazione: “… Nanni… ma cosa si deve insegnare… dillo a papà… non al bambino”. La donna era preoccupata per il futuro del figlio al quale prefigura un nuovo lungo periodo di detenzione: “ah… e poi rimani qua dentro e fai il vedovo”.

La risposta di Giovanni Ferrante non lasciava dubbi sulla sua indole criminale: “… ma perché?… ti pare che appena esco me ne vado a lavorare?… a rubare come un pazzo… ogni giorno”.

Alcune settimane fa Giovanni Ferrante ha chiesto di parlare con i magistrati di Palermo. Vuole cambiare vita. Ha riempito i primi verbali. Racconta di vecchie e nuove vicende di mafia. Inguaia persone già sotto accusa e ne tira in ballo molte altre finora sconosciute ai radar degli investigatori. Presto ne sapremo di più.


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