19 Febbraio 2010, 00:08
3 min di lettura
Raffaele Sabato era l’altro frate.
Ha un cellulare antico. Chiami, sicuro che il numero sia stato polverizzato dal cambio della scheda. Lui, Raffaele, risponde con la sua voce cavernosa. Appuntamento in via Dante. Il tavolino di un bar. L’uomo che ha diviso a metà vita e carriera con Giorgio Li Bassi, a un certo punto, piange. Gocce grosse che inzuppano la camicia.
Raffaele ha un viso bello e segnato da attore palermitano. Parla, come se Ollio parlasse di Stanlio che non c’è più. O viceversa. Parla di “Giorgio”, come se non fosse mai morto. Come se recitasse da morto. Non è morto, finge. Abbiate pazienza, aspettate la fine dello spettacolo.
“Vuoi chiacchierare di Giorgio Li Bassi, mio amico e compagno di un’esistenza?”.
Sì, Raffaele.
“Va bene. Sai, non ho fatto mente locale, come si dice. Prima o poi, ne sono sicuro, mi mancherà”.
Mancherà a tutti.
“Ho detto a mia figlia: andiamo al funerale. E lei: ma Giorgio viene? Lo immaginiamo vivo, non c’è niente da fare”.
Che tipo era Giorgio Li Bassi?
“Miiiii, camurriusu…. Un rompicoglioni”.
E che altro?
“Una persona buonissima, un poeta. Aveva un cuore immenso. Schifio!”.
Che è successo?
“Penso a uno che voleva fare un discorso al suo funerale (ieri, ndr), uno importante. Stavo per andarmene. Ora Giorgio Li Bassi sarà di tutti, mentre non era di nessuno”.
Che vuoi dire?
“Quello che voglio dire lo devi scrivere chiaro. Raffaele grida: giù le mani da Giorgio Li Bassi. Ora scatterà la gara dell’appartenenza. Era nostro, no era nostro. La solita retorica che sappiamo”.
Giorgio Li Bassi a chi apparteneva?
“Giorgio sarà sempre del suo popolo, della gente dei rioni poveri e disgraziati. Giorgio sarà sempre del popolo palermitano. E di nessun altro”.
Non ci provate…
“Ecco, non ci devono provare. Calatevi le mani”.
Strana sorte quella degli attori palermitani. In vita, hanno successo solo oltre i confini del loro mondo. Da morti tutti diventano loro amici.
“E’ uno schifo. Noi della vecchia guardia, io, Lollo (Franco), Paride (Benassai) Angelo (Butera) e altri, non ne possiamo più”.
E che farete?
“Qualcosa faremo. I milioni volano sopra le nostre teste. Se li spartiscono alla grande, mentre i palermitani veraci stanno a guardare. Le istituzioni se ne fottono. E noi siamo gli storici, i veri protagonisti dello spettacolo palermitano. Ci sono progetti. Volevo coinvolgere pure Giorgio”.
Lo chiedo di nuovo: chi era Giorgio Li Bassi?
“Un poeta. Era Giuseppe Schiera, il poeta dei poveri. Con lui si era reincarnato”.
Quando vi siete parlati l’ultima volta?
“Sabato scorso l’ho cercato. E lui ha cercato me. Sono entrato in un panificio. Il titolare m’ha detto: vinni Giorgio, circava a tia. Siccome non ti ha trovato, si è catafottuto mezza teglia di sfincione”.
Era fatto così.
“Entrava nei bar, pigliava un cucchiaino e cominciava a gustare tutti i gelati. E il barista non sapeva se ridere o arrabbiarsi. Ma come potevi arrabbiarti?”.
Come si poteva?
“Quando abbiamo messo su il nostro locale (il Convento, ndr) volevamo sistemare tutto. Lui è andato da un amico: me lo regali un po’ di ducotone per una stanzetta? Al secondo camion l’amico fa: Giorgio, ma quant’è ‘sta stanzetta?”.
Non ti annoiavi mai con lui.
“Mai. La sai quella del cane?”.
Non ancora.
“Giorgio prese un cane. Bianco, peloso, grande e bruttissimo. Lo curava, lo portava in giro. Ne era orgoglioso. Poi il cane sparì”.
Sparì?
“Sì, lo cercammo per due settimane. Un giorno vedo Giorgio sconsolato, con la guancia sulla mano. Gli dico: che c’è?”.
E lui?
“E lui mi guarda e fa: sono triste per il cane. Pi mmia u’ scanciaru pi pecora. E su manciaru”.
E Raffaele spalanca il suo viso. Gocce di risata cadono sulla camicia e sul caffè. Sibilano e scoppiano, dove c’erano le lacrime.
Pubblicato il
19 Febbraio 2010, 00:08