Palermo, Giulio ucciso dal crack, parla il papà - VIDEO

Palermo, Giulio ucciso dal crack: parla il papà – VIDEO

“Una società civile non può consentire che tanti giovani si perdano“

La faccia di Francesco Zavatteri, che ha dovuto, suo malgrado, accettare la fine di suo figlio Giulio, appena diciannovenne, stroncato dal crack, racconta, insieme, l’inferno e la speranza. E quello che resta, al di là delle parole a tentoni con cui cerchiamo di afferrare la profondità di una storia, per noi che abbiamo la ventura di vederla da fuori, è il senso di una forza incrollabile. Un coraggio pagato a caro prezzo. Il dottore Francesco, farmacista da molte generazioni, ha le occhiaie da professionista dell’insonnia, intorno a uno sguardo nitido e deciso. Occhi che si raddolciscono quando il sorriso di suo figlio emerge nella cronaca di un dolore e che, al tempo stesso, si induriscono per la rabbia.

“Troppi giovani si perdono”

Nell’intervista video, curata nella parte tecnica da Moreno Geraci, c’è l’esposizione di una iniziativa che servirà per aprire ‘la casa di Giulio’, un centro per il sostegno ai giovani vittima del crack, a Ballarò. C’è la sintesi di uno strazio che non si è arreso alla sua enormità, ma che sta interrogando se stesso per aprire una strada migliore nel cuore di tutti. E c’è la necessaria e rabbiosa reazione di chi si sente derubato di un figlio, pure nella chiacchierata confidenziale del dopo. “Non possiamo permetterlo, una società civile non può consentire che tanti giovani si perdano – dice Francesco -. Dobbiamo essere uniti, insieme, per combattere”.

La trincea del crack

Il dottore Zavatteri è un uomo perbene e pacifico che, improvvisamente, senza averlo immaginato, si è trovato catapultato in trincea, con armi piccolissime rispetto all’enormità del problema. “Un genitore che deve affrontare l’impossibile – spiega – si sente impotente. Le ho provate tutte. Le abbiamo provate tutte. Ma Giulio non era più uno, era due, per colpa della droga. C’era il ragazzo buono e c’era una nuova fisionomia, quella di un automa piegato dal consumo, incapace di discernere. Ci siamo trovati tante persone accanto, specialmente polizia e carabinieri. Abbiamo incontrato donne e uomini in divisa che fanno da madre e da padre alle ragazze e ai ragazzi in crisi”.

Il calvario di Giulio

Ecco il sommario di un calvario. Giulio che esce di casa e non torna per lunghissime ore. Giulio, figlio di buona famiglia, che si addentra nei vicoli più oscuri e malfamati, a caccia della dose. Giulio che è fuori controllo, che non ragiona più, che non si ferma nemmeno davanti al pericolo della sua stessa vita in bilico. Giulio che prende il crack e il cuore schizza, con le sue pulsazioni, e che, subito dopo, assume eroina, per calmarsi. “Credo che sia stato proprio questo a ucciderlo – dice Francesco, suo padre -. Chi assume crack, dopo la prima dose, ha due o tre anni in media di sopravvivenza. Le organizzazioni criminali usano i tossicodipendenti per spacciare davanti alle scuole. E ci sono ragazzine di quattordici anni che si prostituiscono per comprarsi le dosi. Io sono stato ossessionato dai dai rischi che correva mio figlio. L’ho salvato più volte, sono farmacista e portavo sempre con me un kit di sopravvivenza. In viale Galatea, l’ho trovato gonfio, che non respirava più, un giorno. Gli ho somministrato una iniezione e ho chiamato il 118”.

Giulio, ragazzo e figlio, è stato trovato, una mattina di settembre dell’anno scorso, morto, accanto al suo letto. “Non c’era più da qualche ora – racconta il suo papà -. Ho tentato di rianimarlo, ma non c’è stato niente da fare”. E mentre le parole scorrono, gli occhi di Francesco gridano. (Roberto Puglisi)


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