26 Giugno 2022, 06:00
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Perché Roberto Lagalla e il centrodestra hanno vinto le elezioni a Palermo? Non per una congiuntura astrale sfavorevole, magari legata a un’irruzione delle forze del male, come certa sinistra si ostina a credere. La stessa sinistra che recrimina per la sconfitta, in calce a un suo classico errore: ha indicato un orizzonte a media-lunga scadenza, senza preoccuparsi di quello che succedeva nel frattempo. Ha narcisisticamente declamato la sua voglia – come se bastasse – di una città giusta, solidale, ecologica e vivibile, attraverso pratiche illuminate, ma si è dimenticata delle mille bare dei Rotoli, della munnizza, dei servizi inesistenti, del caos, della sporcizia. Di tutte le cose necessarie e ‘di pessimo gusto’ – per chi è abituato a volare alto, in uno scompartimento più o meno garantito – che determinano il buono o il cattivo governo agli occhi degli elettori. Ricordarlo, oltretutto, significava essere bollati col marchio del panormosauro retrogrado, del nemico della contentezza, un po’ colluso, che non capisce niente.
La mancata presa di coscienza riecheggia nell’anatema di Giusto Catania, all’indomani delle votazioni: “Da oggi al governo della città ci sono personaggi meno limpidi, culture politiche più retrograde, esperienze discutibili, storie personali ambigue. Certamente potevamo fare di più e meglio ma due cose sono sicure: abbiamo curato il bene comune con onestà e presto ci Palermo ci rimpiangerà”. E’ la tipica assenza di una vera analisi politica, una posizione che non sa calcolare il peso di quel ‘potevamo fare di più e meglio’, visto che è stato fatto di meno e molto peggio.
C’è da preoccuparsi per il futuro della sinistra a Palermo, per gli aficionados e per chi ama la molteplicità degli sguardi. Se la premessa conduce all’incapacità di leggere un dato, non si comprende con quale materiale si potrà rifondare un’area che è stata protetta e, al tempo stesso, fagocitata dall’Orlandismo, fino a diventare indistinguibile. Tuttavia, c’è anche chi ha la forza di una descrizione, legata a uno schema ideologico riconoscibile, eppure capace di pensieri più ‘larghi’ e articolati.
Fausto Melluso è una figura nota che viene – e ci sta a suo modo – dallo stesso mondo di Giusto Catania. Lui, invece, ha scritto sul suo profilo social: “Continuiamo a spartirci i like dei nostri duemila amici e smettiamo di guardare fuori. La politica era popolare, faceva assemblee per discutere quello che si doveva fare, girava la città, si confrontava. Dov’è oggi quel circuito?”.
E ancora: “La disfatta della sinistra fa male, ma non stupisce: cambiamo nome ma non cambiamo ricette, e nella perdita di circuiti politici di cui sopra a perdere di più siamo noi, dispersi in uno spazio politico che fatica persino a definirsi. Oltre a pagare più di altri la punizione che, complessivamente, mi pare gli elettori abbiano dato a qualunque elemento di continuità con l’esperienza di governo trascorsa”. E’ appena l’incipit di un appassionato (e lungo) post che può diventare un discorso pubblico. Se gli avversari vincono, accade anche perché hai sbagliato tu. Riconoscerlo significa, dolorosamente, ricominciare. (Roberto Puglisi)
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26 Giugno 2022, 06:00