24 Agosto 2019, 19:07
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Cosa hanno mai fatto gli ebrei? Dialogo tra nonno e nipote sull’antisemitismo: con questo titolo, a firma di Roberto Finzi, si apre una recentissima collana di saggistica dell’Einaudi-Ragazzi. Il libro è scritto da uno studioso (di padre ebreo) molto competente e può essere letto con profitto non solo dai giovanissimi cui è rivolto, ma anche dai meno giovani di ogni età. Vi si elencano infatti i pregiudizi che, negli ultimi venti secoli, si sono sommati riguardo agli ebrei con conseguenze anche molto concrete di cui siamo per lo più al corrente. E se oggi gli episodi di antisemitismo, pur persistendo, sono diminuiti è perché – triste ammetterlo ! – il razzismo degli Occidentali ha trovato un nuovo “capro espiatorio” nei musulmani (le cui frange estremiste, fondamentaliste e terroristiche, costituiscono una percentuale statisticamente minima).
Dispiace un po’ che questo volumetto, non privo di tanti pregi, scivoli su alcuni passaggi e non sia abbastanza chiaro su altri (prescindo dalla bizzarria delle scelte tipografiche di cui, almeno a me, sfugge totalmente la logica: le frasi si aprono ora senza virgolette, ora con virgolette basse doppie che non vengono mai chiuse).
Lo scivolone più grosso riguarda l’origine della separazione dei cristiani dal ceppo ebraico. Che i primi abbiano addossato al secondo la responsabilità della morte di Gesù (ridimensionando la responsabilità dei romani ed estendendo a tutto il popolo ebraico la responsabilità di un ristretto gruppo dirigente del I secolo) è vero e l’autore lo ricorda con chiarezza (secondo il vangelo di Marco i sacerdoti del Tempio “vedono in Gesù un pericolo per il loro potere” e “danno subito vita a una congiura”). Qualche riga dopo, però, lo stesso Finzi aggiunge: “Il contrasto tra cristiani ed ebrei ha un carattere religioso. Secondo i cristiani, Dio si fa uomo per rendere possibile, attraverso il suo sacrificio, la salvezza dell’umanità. […] Per questo motivo , nel pensiero religioso cristiano, gli ebrei hanno una posizione molto particolare. […] Il loro comportamento, che, ripeto, realizza la volontà divina, determina d’altra parte la morte del figlio di Dio incarnatosi in Gesù. Da qui l’accusa di <<deicidio>>, per cui sono puniti da Dio e devono essere tenuti il più possibile isolati dai veri credenti”. Da brani come questi il lettore, poco aggiornato in teologia, evince che l’accusa radicale e decisiva di “deicidio” sia comune al “pensiero religioso cristiano” dalle origini sino ai nostri giorni. Ma, storicamente, non è così.
Non è così per almeno i primi tre secoli di cristianesimo perché, in quel lungo periodo di tempo, i cristiani – né nel Nuovo Testamento né nella letteratura teologica coeva e successiva – parlano di Gesù come Dio, bensì come “figlio di Dio” (che, nel linguaggio dell’epoca, designa senza ombra di dubbio una condizione umana di messia, inviato, unto del Signore). Il plesso micidiale di tre tesi (Gesù non è un uomo ricolmo di Spirito, ma la seconda Persona della Trinità; “Gesù <<deve>> morire per consentire all’umanità di redimersi”; dunque gli ebrei sono colpevoli di “deicidio” e così facendo rendono “possibile la realizzazione della volontà di Dio”) si è andato configurando nell’Alto e soprattutto nel Basso Medioevo (ad opera in particolare di sant’Anselmo d’Aosta e della sua teoria della morte “riparatrice” del Figlio per volontà insindacabile del Padre). Finzi non avverte il lettore che, dunque, non sta parlando del “pensiero religioso cristiano” tout court, ma di un segmento – per la verità lungo, troppo lungo ! – della sua storia.
Quanto all’ultimo mezzo secolo egli segnala che il Concilio Vaticano II ha delegittimato l’anti-ebraismo cattolico, ma non accenna minimamente alle motivazioni teologiche (pressoché unanimi) di questa svolta epocale: l’acquisizione che non si possa più sostenere l’idea di un Dio che “sacrifica” come un Moloch gigantesco una seconda Persona divina. E’ questa la ragione radicale per cui solo i cristiani più ignoranti in campo teologico (ahimé, statisticamente la maggioranza!) possono ancora sostenere l’accusa di “deicidio” rivolta agli ebrei. Gesù è stato condannato a morte non perché si autodefinisse Dio (autodefinizione che egli non ha mai espresso), ma perché – in perfetta continuità con il profetismo ebraico – intendeva instaurare un “regno” di libertà, giustizia, solidarietà inaccettabile per i poteri religiosi ebraici e per i poteri politici romani.
Un passaggio in cui Finzi sarebbe potuto essere, a mio modesto avviso, più chiaro riguarda la confutazione delle teorie razziste. Egli si limita a citare l’affermazione di Luigi Luca Cavalli Sforza secondo cui “le razze non esistono come entità chiaramente e facilmente distinguibili”. Ma allora esistono come entità “confusamente e difficilmente distinguibili”? Non si può – e dunque non si deve – affermare con chiarezza che le razze non esistono (se consideriamo l’umanità nel suo complesso) o che, se consideriamo l’umanità nel contesto delle altre specie viventi, esistono (sia pure distinte da labili confini), in quanto razza umana, razza equina, razza felina e così via ?
Chiudo con una notazione delicata. L’autore mette, giustamente, in guardia dall’errore di identificare l’ anti-israelismo (l’opposizione alla politica dell’attuale Stato d’Israele) con l’anti-semitismo (l’odiosa opposizione a una presunta “razza” ebraica”). Ma sui motivi di questa erronea identificazione sorvola, a mio avviso, troppo rapidamente. Infatti, sulla questione “israelo-palestinese” egli si limita ad osservare che, in “questa lunga, ingarbugliata e non ancora conclusa storia”, “anche Israele ha le sue colpe non lievi”: “certo dovrà trovare una soluzione che riconosca pure i diritti dei palestinesi”. Non è troppo poco? Che la maggioranza dei governi israeliani stia trattando generazioni di palestinesi con una crudeltà non molto minore di quanto generazioni di ebrei siano state trattate dai nazisti tedeschi e dai fascisti italiani, non è riconosciuto anche da ebrei di tutto il mondo e persino da minoranze democratiche che vivono all’interno dello Stato d’Israele? Se ognuno di noi continua ad attenuare le responsabilità antiche e presenti delle proprie patrie e delle proprie chiese, sottraendosi al dovere intellettuale e morale dell’autocritica collettiva, non si avrà mai giustizia. Né, di conseguenza, pace.
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24 Agosto 2019, 19:07