13 Settembre 2013, 19:42
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CATANIA – La crisi dell’educazione è la crisi della società. Non è una sentenza circolare, ma una dura constatazione sulla realtà circostante. Un assunto che ha però una sua via d’uscita. E si chiama “amore”. Il giornalista Marco Pappalardo non ha dubbi. E nel suo ultimo saggio dal titolo, appunto, Nelle ‘terre dell’educazione’, non si educa bene che col cuore (Edizioni San Paolo, 2013) lo spiega perfettamente. Attenzione, però, il suo non è l’ennesimo manuale di pedagogia. Ma ben altro: un contributo valido come un sussidio per genitori, educatori e chiunque si occupi della formazione dei giovani presso gli oratori e della loro direzione spirituale. Un contributo figlio ancora dell’esperienza di vita.
Anche l’educazione, oggi, soffre una sua particolare crisi. Perché?
“Lo è perché molti educatori, intendo famiglie e insegnanti, hanno fatto un passo indietro. Hanno scelto di delegare ad altri questo compito. Ma a furia di delegate si rischia che non ci sia più nessuno che educhi veramente. Soprattutto non c’è nessuno che chiede cose grandi, cose alte…”
Lei trova?
“Sì, ci si limita alle piccole cose. Si pensa che ognuno imparerà da solo e col tempo. Invece c’è bisogno, come prima cosa, di una testimonianza. I ragazzi imparano, nel bene o nel male, guardando gli altri. E poi ci vuole quella sana e buona fatica. Gli educatori non devono fare la strade al posto dei ragazzi. Basterebbe invece che gli siano accanto. Questo serve a far camminare con le proprie gambe”.
Trova che ci sia qualche remora a dire dei “no”?
“Assolutamente. C’è questa paura. Ma i ‘no’ servono a crescere”.
É saltato l’antico rapporto maestro-discepolo?
“In alcuni casi persiste. Ma è sempre più difficoltoso sostenerne il peso, anche se dà grandi risultati”.
Secondo lei, la crisi dell’educazione equivale anche alla crisi delle autorità in senso più ampio?
“Sì, assolutamente. Se cresco, diciamo, libero non sarò mai consapevole dei miei limiti e quindi delle mie risorse. Quando non ho dei veri punti di riferimento, mi convinco di poter fare tutto ciò che voglio. Ciò significa crisi della giustizia, impossibilità di discernere il bene dal male. Quante volte ci capita di sentire dei ragazzini, oggi, ripetere in faccia ai propri genitori espressioni che anni fa sarebbero apparse impronunciabili. Ciò significa che abbiamo perso qualcosa di fondamentale: l’autorevolezza. Un termine che nella sua essenza vuol dire saper comunicare una nozione con la propria esperienza di vita”.
Autorevolezza e amore vanno di pari passo?
“L’amore è fondamentale. Nel mio libro si dice appunto nel sottotitolo non si educa bene se non con il cuore. Ogni autorevolezza parte dall’amore. Chi sa di essere amato, imparerà ad amare. Chi non ha mai sentito veramente di essere amato, avrà problemi nel farlo. Non ne conosce il linguaggio. Amare è uno stare ‘con’ e un essere ‘per’.”
Questa città può ripartire da una sana educazione?
“Sono tanti che lavorano in tal senso nel volontariato. In tanti si scommettono tutti i giorni. Sicuramente c’è un insieme di bene nel territorio etneo che può dare delle grandi opportunità. C’è però tanta distrazione. C’è una grossa difficoltà a chiedere sforzi significativi e forti. Gli educatori dovrebbero mandare i ragazzi nella città, a guardarsi intorno, e capire cosa davvero manca. Guardando le necessità e le debolezze, spesso, si educa davvero il cuore”.
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13 Settembre 2013, 19:42