27 Settembre 2019, 10:24
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GELA (CALTANISSETTA) – A Gela comandavano gli stiddari. Nel popoloso centro nisseno vigeva la legge del più forte e il più forte, fino a ieri, era Bruno Di Giacomo, spalleggiato dai fratelli Giovanni e Vincenzo. Li hanno arrestati assieme ad altre decine di persone.
L’operazione è della squadra mobile di Caltanissetta e del Servizio centrale operativo della polizia, coordinati dalla direzione distrettuale antimafia. Gli stiddari, quelli che un tempo erano i ribelli di Cosa Nostra, si erano presi in mano la città. Di Giacomo, soprannominato “Marlon Brando”, ha 44 anni, di cui una ventina trascorsi in carcere. Gli stiddari conoscevano un solo linguaggio, quello della violenza.
Dall’imposizione dalle forniture alle banali liti per strada: tutto veniva risolto picchiando duro, con una ferocia che lascia sgomenti. Bruno Di Giacomo era il domunus occulto delle società Cartaplastic e Sweet Plastic, attraverso le quali imponeva a bar e ristoranti le forntire di piatti, bicchieri, saponi, detersivi e di ogni altra cosa che servisse. “… tutti dobbiamo mangiare… puoi avere sempre bisogno… siamo tutti sotto questo cielo… chi mangia assai si soffoca… “, diceva il boss al titolare di una pasticceria per “convincerlo” ad accettare le sue regole. Stabiliva persino chi dovesse rifornire di cornetti alcuni bar. E cioè il panificio del padre di suo cognato, Samule Cammalleri. Chi si ribellava veniva punito severamene. Come accadde al titolare del laboratorio di pasticceria “Peccati di Gola”, distrutto dalle fiamme. Che fu una ritorsione lo ha raccontato il collaborarore di giustizia Giovanni Canotto. Gli diedero duecento euro e lui appiccò le fiamme.
La voce si sparse in fretta. Da quel momento non ci fu più concorrenza. Tante altre attività – e i nomi sono citati negli atti dell’inchiesta – abbandonaro il vecchio forntire e si rivolsero a Di Giacomo. La supremazia andava mostrata, addirittura ostentata. Come quella volta in cui Bruno Di Giacomo intervenne per fare pestare due ragazzi che avevano mancato di rispetto al padre, anziano, di un suo amico: “Aieri u scassaiu tuttu a Raziu (Orazio era la vittima della brutale aggressione). Di fonte a tale “vastasaggine allucinante” era stato inflessibile, andando contro il fratello Giovanni che aveva proposto di non usare le maniere forti. Niente da fare, le maniere erano state fortissime: “.. a testa do muru, uhm u mazzasti… cazzu mi ni futti”. Le telecamere hanno ripreso la scena. Un giovane fugge, viene braccato, raggiunto e la sua testa sbattuta contro il muro.
La violenza esplodeva per strada verso persone “colpevoli” di averlo infastidito. Un camionista si era permesso di chiedere a Bruno di spostare la macchina che bloccava la circolazione. “… cià tiraiu ca da testa… minchia tuttu chinu i sangu … ma propriu… u rapiu tuttu “. Si vantava di avergli spaccato la testa. “… aspè, fammi scinniri…”, disse una volta Di Giacomo imbottigliato nel traffico. Un automobilosta evidentemete lo aveva mandato a quel apese. Al ritorno in macchina si gonfiava il petto: “… i vermi ci vinnuru… fannu i malandrini poi… unu ci rumpi i corna poi appena viri chi canuscinu i pirsuni…”.
L’automobilista lo aveva ricosnosciuto. Non come i due operai che, raccontava un uomo celebrando le gesta del boss, stavano lavorando “o ponti i settefarini un c’erunu i lavori in corso l’atraeri… e c’erunu chiddri chi ci travagghiavunu… tu un sai cu sugnu iu… pigghia e i cutiddriau …”. Due operi di un’impresa di telecomunicazioni avevano imparato a proprie spese di cosa fosse capace Bruno Di Giacomo.
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27 Settembre 2019, 10:24