Gli occhi di un padre per la figlia | "Vi racconto Enzo, il mio papà" - Live Sicilia

Gli occhi di un padre per la figlia | “Vi racconto Enzo, il mio papà”

Enzo e Marzia Fragalà

La crudeltà di un omicidio. Anni di ricerca della verità. E una foto che dice tutto. Parla Marzia Fragalà.

PALERMO- In questa foto Enzo e Marzia Fragalà, padre e figlia, ballano insieme. I loro sguardi raccontano tutto. Lui è orgoglioso e fiero, tanto da non contenersi, mentre sperimenta un’esplosione trattenuta ma intensissima di felicità. Lei osserva qualcosa che non sapremo mai, forse una costellazione, improvvisamente sbucata in quella festa danzante, per riempirle gli occhi.

Nessuno dei due sapeva che, per la crudeltà di un omicidio, il padre e la figlia, un giorno, sarebbero rimasti reciprocamente orfani. Marzia, avvocato come papà, sovente, seguendo il ritmo dei suoi pensieri, ha pubblicato sulla sua pagina social qualcosa su Enzo. Molliche sparpagliate sulla via di casa. Non soltanto memoria, un modo per restare insieme.

Ecco alcune tracce che hanno scandito il processo in corso, quasi in dirittura d’arrivo. “Oggi in aula bunker, davanti la Corte d’assise di Palermo, tutto il consiglio dell’Ordine di Palermo insieme al direttivo della Camera penale ha presieduto l’udienza indossando la toga e stringendosi con affetto a noi. È stato un momento di forte emozione”.

“Grazie a tutti per avermi fatto sentire il vostro affetto. Ho ricevuto tanti messaggi e telefonate di incoraggiamento. Mi avete dimostrato ancora una volta quanto mio padre fosse amato e stimato da tanta gente perbene che come noi in questi anni ha cercato e aspettato con pazienza giustizia!”.

“Anno 2020 mi ricorda solo che sono passati 10 anni... eternamente lunghi dolorosi e pieni di cambiamenti. Mi auguro di mettere al più presto la parola fine di ricominciare senza guardare più indietro e di portare con me solo l’amore che mi è stato donato”. Il diario di una assenza che è presente, non per modo di dire, un cammino sentimentale che continua, il segno di un legame profondo.

“Sì, ricordo l’occasione in cui la foto fu scattata – racconta Marzia -. Avevo quindici anni e ballavo con papà. Era un Capodanno in montagna. E’ una bella foto, la testimonianza di un momento gioioso. Si capisce, del resto, dal sorriso, dagli occhi. Scrivo per avere un contatto con lui e per ricordare quanto fosse importante per la città che amava e che non ha mai smesso di amare. Papà era un grande palermitano, un siciliano consapevole e oggi manca come un punto di riferimento, non solo a noi”.

A me manca tutto, il suo ottimismo, l’allegria e la forza che ci metteva nell’affrontare la vita. Era un uomo dinamico, uno sportivo, ti trascinava con la sua passione. Io lo seguivo sempre, anche da studentessa frequentavo lo studio, andavo con lui a Roma quando era alla Camera o in Cassazione. Gli piaceva che i suoi figli amassero le sue stesse cose. Papà amava moltissimo il mare e la sua barca a vela”. Poi l’aggressione, il 23 febbraio del 2010, la morte, tre giorni dopo. La ricerca della verità. Un processo. Una sentenza che si attende a breve.

Marzia racconta e dentro c’è tutto, la mutilazione che incombe, l’amore che è stato donato: “La notizia del ferimento, oltre al dolore, ci lasciò increduli. Papà era molto sicuro di sé e non dava la sensazione di uno che potesse subire un attacco. Era un uomo libero che mai avrebbe rinunciato a suoi principi. Quel giorno, abbiamo pranzato insieme con la promessa di rivederci la sera a un evento. Non ci siamo parlati mai più”.

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