28 Novembre 2010, 00:40
2 min di lettura
Gli studenti sui tetti in protesta sono stati seguiti dalla politica che si è inerpicata, sbuffando per l’enfisema, alle loro calcagna. Uno spettacolo comico. E quando mai la politica si ingegna di avvicinare gli uomini con i loro problemi? Capita se tira aria di elezioni. Dunque, tira aria. Per il resto vorremmo che Bersani scendesse con i suoi e abbandonasse i ragazzi in colloquio col cielo che non è né di destra né di sinistra. Vorremmo gli inutili maestri meno rapaci. Ci lasciano soli tutto l’anno, tranne quando ci sarebbe il gusto di stare zitti a riflettere. I tetti di Bersani – ma dove sarà mai la vera politica? – rappresentano il riflesso di una ideologia al dessert, che ha smarrito la strada popolare. Se un uomo in età ha bisogno di arrampicarsi tra le grondaie per confermare disperatamente l’impronta della propria esistenza… Destra e sinistra non sanno rispondere alle domande dei giovani di facoltà o di scuola. La prima è isterica verso ogni forma di dissenso, la seconda cavalca qualsiasi protesta, pur di perseguire il suo progetto di regicidio. E pensare, ancora una volta, che sarebbe meglio fare politica. Invece si arriva, come pompieri distratti, nel pieno dell’incendio, con la gente sui tetti.
I ragazzi sono bellissimi. E si passano nel tempo un testimone mai consunto. Le classi di oggi sono una fotocopia delle classi di ieri. Identici le passioni e l’amore e l’ignavia. Uguali gli stampini umani che attraversano i banchi – il secchione, il bello, la bella, la brutta, il sognatore, il Fonzie, il calciatore – perpetuando la tradizione. Vicino casa mia, c’è un liceo. I ragazzi dell’okkupazione sono lì, fuori il portone, con i banchi. Sono ragazze soprattutto. Di sera hanno guance rosse dal freddo e si scaldano reciprocamente le mani. Mettono tenerezza.
Nessuno la sta raccontando bene la rivolta degli studenti. Non è soltanto la repulsione contro il riformismo draconiano di un ministro. C’è altro. La rivoluzione è il filo della paura per una vita che non c’è più. L’immediato futuro dopo la scuola – e nelle università – è povero e precario. E’ un destino sotto padrone, di emigrazioni e valigia di cartone. E’ la sorte degli schiavi ai remi di un lavoro spurio. Per questo, gli studenti si ribellano. E’ il contrario di Pinocchio. E’ preferibile restare in eterno confinati nel Paese dei balocchi con la qualifica di burattini di legno, evitando di crescere. La carne viva patisce il crollo di un’Italia senza senso.
I ragazzi vogliono fermare il tempo. E salgono sui tetti. Dovranno scendere alla fine del sogno. Allora comincerà la battaglia, quella vera. Non sarebbe male affrontarla ripartendo dai libri. Ne consigliamo uno su tutti, perché ci ha insegnato la fantasia, l’ironia, lo sberleffo nei confronti del potere che intende organizzare le esistenze dei suoi burattini, a dispetto del cielo. Comincia così: “C’era una volta… – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno”.
Pubblicato il
28 Novembre 2010, 00:40