Gli “ziti” di Giarre e il Gay Pride

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16 Giugno 2010, 07:29

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Giorgio Agatino Giammona aveva 25 anni. Antonio Galatola aveva quindici anni. Stavano insieme, a Giarre, in Sicilia. Li trovarono morti in un giorno di autunno di tanti anni fa. Li trovarono crivellati di colpi. In prima battuta Francesco M., un ragazzino di dodici anni, fu ritenuto responsabile dell’omicidio. Aveva confessato. Era nipote di Antonio. “Mi hanno chiesto di ammazzarli loro stessi, per la vergogna – disse -. In cambio ho ricevuto un orologio”. Francesco, però, ritrattò. Parlò di coercizione: “I carabinieri mi hanno preso a schiaffi”. L’inchiesta andò avanti fino all’archiviazione. Resta l’ombra di un’esecuzione, della brutale giustizia sommaria messa in atto da un parente “offeso”. Perché offeso? Perché nemmeno oggi si riesce a tollerare l’esibizione serena di un amore gay. Ma poi che cos’era la storia degli “ziti” di Giarre? Era amore? Era abuso? Era orrore? Era passione? Nessuno lo sa. Un paese intero si limitò a ridacchiare al passaggio dei due, mano nella mano. Pubblicamente, negando l’evidenza.

Qualche lettore, pochi per fortuna, si è detto contrario al Gay Pride a Palermo e in ognidove. Gli ex An della Giovane Italia sono contrarissimi. Il presidente, intervistato, non gradisce il corteo. Sarebbero “atti osceni in luogo pubblico”. Si potrebbe ironizzare, ribattendo: ma guardi che la città di Palermo, per come è governata, è un colossale atto osceno in luogo pubblico. Non se n’è accorto, presidente? Perché non usa la sua abnegazione per correggere la stortura davanti agli occhi di tutti? Niente ironia. E’ il caso di approfondire. Spaventa la nudità. Spaventa l’esibizione del corpo. E la sobrietà avrebbe qualche ragione di opporsi al’esibizionismo, se non fosse che quella nudità è molto più sobria e discreta degli osceni pregiudizi che ancora resistono contro i gay. Non è questione di legge, ma di sentimenti, di occhi, di mani e di frasi. La nudità nasce come antidoto al nascondimento. Non li vogliamo davanti agli occhi, noi perbenisti “giarresi” di tradizione. Non sopportiamo ciò che si muove tra terra e cielo ed è veramente diverso. Vale per i gay. E sotto sotto, grattando via la patina della compassione, nelle azioni e nelle omissioni, siamo in un mondo che non sopporta nemmeno i disabili, altro elemento di “scandalo”. Ma è un altro discorso, buono per un’altra volta.

In ogni caso il bivio è chiaro. C’è la strada dell’accoglienza, del confronto magari serrato e pure della curiosità. Poi c’è l’altra strada che, sul serio o metaforicamente, a prescindere dalla storia degli “ziti” di Giarre,  va a finire sempre allo stesso modo. Un orologio e qualche colpo di pistola.

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16 Giugno 2010, 07:29

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