30 Marzo 2011, 07:28
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C’è uno scoglio in mezzo al Mediterraneo. Una “tavola” di roccia grande poco più di 20 km quadrati al centro esatto del Canale di Sicilia. Crocevia di destini, sogni, speranze, per migliaia di uomini, “fuoriusciti” come infinite gocce da quella che fino a ieri è stata la piccola “falla” del flusso migratorio dal nord Africa verso l’Europa, e che oggi si rivela, in tutta la sua catastrofica evidenza, un’inarrestabile voragine.
Lampedusa è sotto assedio. Ad assediarla sono gli oltre seimila immigrati giunti in queste settimane, che come anime in pena vagano tra i moli e le strade del paese; ad assediarla sono le decine di uomini delle forze dell’ordine, carabinieri, poliziotti, finanzieri, che ad ogni angolo scrutano i passi di chiunque cammini per le strade e le trazzere sterrate; ad assediarla sono i giornalisti e i cameramen, arrivati a centinaia per raccontare fino all’ultimo il rantolo di un’isola allo stremo. Lampedusa è assediata da rifiuti e tanfo di urina, che si respira laddove alcune settimane fa il profumo del mare accompagnava il rientro dei piccoli pescherecci corteggiati dalle bianche parabole dei gabbiani affamati.
Ad assediare Lampedusa, oggi, sono anche i suoi stessi cittadini, da ieri rinchiusi nell’aula consiliare del Comune. Sono in prevalenza donne. Sono le mogli di quei pescatori che da diversi giorni ormai non escono più per mare, o comunque hanno diradato notevolmente le battute di pesca. Il loro chiasso assordante. Chiedono a gran voce una risposta, o quantomeno un’ammissione di colpa (come se bastasse) da parte di un governo che non ha saputo affrontare l’emergenza, e che per bocca del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Miccichè, questo pomeriggio ha anche ammesso di “aver sottovalutato” la situazione. Un mea culpa che annuncia la possibilità che sull’isola possano piovere presto i milioni di euro del Cipe.
“Resteremo qui dentro fino alla fine dell’emergenza” è la frase che ripetono quasi come una formula magica che li possa aiutare a trovare la forza per crederci ancora. E l’emergenza finirà. Di buon mattino è atteso infatti l’arrivo delle sei navi passeggeri, che dopo aver attraccato in rada imbarcheranno seimila persone. La loro destinazione, mistero. Il tutto avverrà sotto agli occhi del presidente del Consiglio, che dopo settimane di imperdonabile silenzio si ricorda di Lampedusa.
Berlusconi arriverà intorno all’una per rassicurare col suo sorriso migranti e cittadini. Ai primi prometterà l’accoglienza e la solidarietà di un continente che al contrario ha dimostrato fino ad oggi assoluto disinteresse nei loro confronti (un po’ come dare il benvenuto ad un ospite non gradito, senza l’autorizzazione del padrone di casa); ai secondi invece darà le garanzie che una volta fuori dall’isola, i nordafricani non torneranno più in massa: un’utopia alla quale, secondo i piani del premier, sta lavorando la diplomazia internazionale.
Uscendo dal Comune, due tunisini sulla ventina si avvicinano e domandano se abbiamo notizie su quello che li attende. Con un perfetto italiano spiegano: “Siamo qui da dieci giorni, nessuno ci dice nulla. Dove ci mandano? In Tunisia no”. I nostri occhi nei loro occhi, adesso, sono quell’orizzonte che questi due disgraziati hanno avuto il coraggio di affrontare dieci giorni prima. La verità è una bordata forte, contro la carretta del mare che è la loro vita: “Si, tornerete a casa”.
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30 Marzo 2011, 07:28