11 Luglio 2017, 13:29
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PALERMO – Dopo la condanna penale definitiva, e il carcere, adesso arriva anche quella contabile. Alberto Acierno deve sborsare 86 mila alla Regione siciliana per il danno all’immagine. In lui le istituzioni hanno riposto grande fiducia, ma – dicono ora i giudici contabili – Acierno ha risposto con “un grande tradimento”. A nulla è servita la tesi difensiva della prescrizione. Accolta la ricostruzione della procura regionale della Corte dei Conti.
Acierno è in carcere da novembre 2015. Giudicato colpevole di peculato per le “spese pazze” con i soldi dell’Ars e della Fondazione Federico II di cui era direttore generale. La pena inflitta è stata di sei anni e mezzo, a cui vanno tolti i tre previsti dal condono e i 79 giorni che ha già trascorso in custodia cautelare ai domiciliari. Dunque, deve scontare poco più di tre anni.
Erano due le contestazioni a carico di Acierno nel processo pneale e riguardavano la gestione del gruppo misto all’Ars nella XIII legislatura, in qualità di presidente, e quella della Fondazione Federico II, dove ha lavorato fra l’agosto 2006 e il novembre 2007. Nel primo caso, Acierno ha sottratto 40 mila euro dal conto del gruppo parlamentare che dovevano servire a sanare pendenze con l’erario, l’Inps e i vecchi dipendenti. Ed è questa la vicenda sfociata nel processo ora deciso in primo grado dal collegio presieduto da Luciana Savagnone. Il danno è stato quantificato nel doppio dei soldi spesi in maniera non legittima perché il reato è stato considerato particolarmente grave.
Il secondo filone riguardava le cosiddette “spese pazze” della Fondazione, l’ente istituito dall’Ars con una legge del 1997. Acierno viene nominato direttore generale da Gianfranco Miccichè, all’epoca presidente dell’Assemblea regionale siciliana e, quindi, di diritto anche della Fondazione a cui appartenevano i 122 mila euro da lui spesi. Acierno utilizzava la carta di credito intestata alla Fondazione come un bancomat personale per pagare viaggi, vestiti, bollette Sky ed Enel, e persino le puntate al casino on-line. Acierno si è sempre difeso, sostenendo che quei soldi erano i suoi perché la Fondazione gli doveva un compenso come custode delle opere d’arte esposte durante le celebrazioni del 60° anniversario della prima seduta dell’Ars.
La sua vicenda giudiziaria ha inizio nel 2009, quando l’ex deputato finisce ai domiciliari a seguito di un’inchiesta della finanza coordinata dal pubblico ministero Sergio Demontis. Nel 2010 Acierno ha provato a patteggiare una pena di due anni e due mesi che il giudice per l’udienza preliminare non ritenne congrua. Da qui prima il processo davanti al Tribunale, poi la conferma della pena in appello e, infine, il bollo della Cassazione sulla condanna a sei anni e mezzo.
“Come correttamente sottolineato dalla Procura – scrive il collegio dei giudici contabili – la vicenda ha avuto diffusione mediatica e giornalistica che ha contribuito a screditare, inquinare, ridicolizzare e, quindi, a danneggiare, l’immagine che ha l’Assemblea Regionale, quale massimo organo rappresentativo della comunità, agli occhi dei consociati e la cui compromissione, deve essere necessariamente ripristinata in tutta la sua integrità”.
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11 Luglio 2017, 13:29