08 Maggio 2018, 13:59
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PATERNO’ – È arrivato l’ultimo riscontro per poter chiudere il cerchio sulla guerra di mafia a Paternò scoppiata nel 2014. E quindi poter incastrare i presunti killer e complici dell’agguato ai danni di Salvatore Leanza, Turi Padedda, e il tentato omicidio di Antonio Giamblanco. È Orazio Farina che decide di vuotare il sacco ai magistrati e fornire i nuovi input investigativi che nel 2015 mancavano secondo il Gip per emettere l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Con le rivelazioni del nuovo pentito il puzzle si è completato ed ha incastrato anche il fratello Alessandro Giuseppe Farina. È finito in carcere Antonino Barbagallo. Gli altri cinque indagati Farina (appunto), Antonio Magro, Vincenzo Patti, Francesco Santino Peci e Sebastiano Scalia, sono già detenuti per altre accuse. Alcuni sono già stati condannati nel processo scaturito dall’inchiesta En Plein (anche se la sentenza non è definitiva).
Riavvolgiamo il nastro. Le indagini scattate immediatamente dopo l’omicidio del boss degli Alleruzzo permettono di risalire ai mandanti dell’omicidio di Turi Padedda, che stava cercando di farsi spazio nell’ambiente malavitoso paternese. E questo non sarebbe piaciuto a Salvatore Rapisarda, reggente del clan storicamente alleato alla cosca Laudani. E da lì (anche per ragioni di vendetta) avrebbe organizzato e pianificato nei minimi particolari l’agguato. Fare fuori Turi Leanza, pare poi, avrebbe fatto comodo anche a Turi Assinnata, capo dei referenti dei Santapaola all’ombra del Castello Normanno. Non sarebbe piaciuto al boss di Paternò l’atteggiamento di Salvatore Leanza troppo “sprecone” con i soldi della cosca.
Nel 2015 Francesco Musumarra, detto Cioccolata, sceglie di collaborare con la giustizia, nonostante il ripudio della madre. E le sue rivelazioni incastrano il mandante, ma non gli altri componenti del gruppo di fuoco.
Sono i racconti, dettagliatissimi, di Orazio Farina (già teste chiave nel processo ordinario) a inchiodare i killer. Il verbale in cui racconta la programmazione dell’omicidio di Turi Leanza è datato 16 ottobre 2017. Il pentito paternese ha militato – come ha rivelato – nel clan Alleruzzo e Assinnata. “Ricordo – racconta – che sono stato contatto per uccidere Turi Leanza da Antonino Magro, detto u rannazzisi, braccio destro di Turi Rapisarda. Io non facevo parte del clan capeggiato da Turi Rapisarda però mio fratello Angelo da tempo apparteneva al gruppo e aveva parlato di me e del fatto che avevo una lunga esperienza di materia di omicidi. Per tale ragione Turi Rapisarda incaricò Magro per venirmi a parlare. L’incontro – aggiunge – avvenne nel mese di giugno circa 10 giorni prima dell’omicidio di Leanza. Mi portò a casa di Turi Rapisarda dove ci sedemmo a parlare io, Turi Rapisarda, il figlio Vincenzo e Nino Magro. Turi Rapisarda mi chiese se fossi disponibile a partecipare all’omicidio e io accettai anche perché volevo entrare nelle grazie del Rapisarda, anche per avere un eventuale appoggio nel caso in cui il gruppo Assinnata volesse uccidermi come già aveva intenzione di fare”.
A quel punto è iniziata la fase organizzativa del delitto. “Pochi giorni dopo mi venne a prendere a casa Nino Barbagallo, detto u muzzuni, e andammo in compagnia in zona Pergola prima del parcheggio di Rapisarda e lì Magro porto delle armi: una era inceppata (e se ne accorse Franco Musumarra), un fucile a pompa e una mitraglietta con il silenziatore. Eravamo presenti io, mio fratello Alessandro Farina, Franco Musumarra, Iano Scalia detto cacocciola, Nino Barbagallo detto muzzuni, Peci del quale non ricordo il nome fratello di Rosario Peci, Antonino Magro ed un certo Enzo Patti, detto Frastorno. Ricordo che in tale occasione si discuteva su chi dovesse rubare una macchina da utilizzare per l’agguato e poiché io non potevo, andarono a fare tale furto a Santa Maria di Licodia mio fratello Alessandro con Nino detto u muzzuni e rubarono una fiat uno come mi raccontò mio fratello Alessandro. Ricordo che successivamente prima dell’omicidio ci siamo incontrati con gli altri del gruppo da me prima nominati, ed Enzo Patti detto frastorno riferiva di avere visto che Leanza ogni mattina usciva di casa verso le sette e prima si fumava una sigaretta davanti al portone e poi andava via con una macchina guidata dalla moglie che era una alfa 156. A quel punto, poiché avevamo le armi, sapevamo gli orari del Leanza ed avevamo anche la macchina rubata si decise di intervenire. La sera prima dell’omicidio ci siamo visti tutti in una piazzetta che si trova alle spalle di Scala vecchia. Io dissi che l’indomani non potevo andare a fare l’omicidio ma sarebbe andata mio fratello Alessandro. Eravamo presenti a tale incontro io, mio fratello Alessandro, Franco Musumarra, il predetto Peci che è fratello di Rosario Peci, Nino Barbagallo detto Muzzuni, Iano Scalia, Nino Magro, ed Enzo Patti detto frastorno e ci siamo dati appuntamento nella stessa piazzetta per la mattina dopo verso le 6 del mattino anche se come detto io non sarei andato”
Arriva il giorno x dell’omicidio. “Mio fratello Alessandro venne a dormire da me – racconta Farina – ed io lo svegliai la mattina per andare a fare l’omicidio. Successivamente dopo l’omicidio verso le 8 – 8,30 del mattino venne a casa mia Nino Barbagallo detto u muzzuni che mi confermò che era stato ucciso il Leanza e disse anche non c’era dubbio che era morto con “tutti quei rumori che c’erano stati”. Mi chiese poi di dargli un cambio di vestiti per mio fratello ed andò la via. La sera venne a casa mia mio fratello Alessandro che mi raccontò nei dettagli cosa era accaduto. In particolare – aggiunge Farina – mio fratello Alessandro mi raccontò che in macchina andarono a fare l’omicidio in quattro ovvero Peci alla guida, e poi lui, Franco Musumarra e Iano Scalia. Il Peci rimase alla guida delle macchina e per come mi disse mio fratello mise la macchina in modo da bloccare la marcia della macchina guidata dalla moglie di Leanza, che era seduto lato passeggero. Mi disse mio fratello che a sparare furono prima Iano Scalia, poi mio fratello che aveva una pistola calibro 9, e poi Franco Musumarra. Tutti e tre avevano delle pistole. In seguito poi ho saputo dallo stesso Musumarra che lui gli aveva sparato in testa e per ultimo tanto che ricordo che mi disse che gli aveva aperto la testa “come un granato”, ovvero come un melograno. Ed io mi complimentai con Musumarra”.
Infine c’era da portare la notizia del “lavoro fatto” al capo. “Ricordo che mio fratello mi disse che a guardare il tutto ed a verificare che le cose andassero bene c’erano messi di fronte ad un bar che si trova di fronte la palazzina del Leanza, Enzo Patti e Nino Magro. Il Magro poi aveva il compito di informare subito Turi Rapisarda dell’avvenuto omicidio”.
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08 Maggio 2018, 13:59