Vertice tra i Mazzei e i Santapaola| “I Carateddi facevano un macello”

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16 Marzo 2016, 06:02

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CATANIA – Più di una volta il presidente Rosario Grasso interrompe Gaetano D’Aquino. Risposte troppo ampie, secondo il tribunale, rispetto alle domande che gli rivolgono il pm Tiziana Laudani e gli avvocati Francesco Antille e Salvo Pace. Collegato in video conferenza da un luogo protetto, l’ex reggente del clan Cappello parla come teste nel corso del processo scaturito dall’inchiesta di Dia e Carabinieri Ippocampo che ha portato alla sbarra i vertici della cosca cosiddetta dei Carcagnusi. Parliamo della famiglia di Santo Mazzei, che con “l’intercessione” di Leoluca Bagarella venne fatto uomo d’onore ed ebbe un posto “riservato” nella cupola palermitana.

Ad un certo punto il collaboratore di giustizia parlando di una conversazione con Nuccio Mazzei, dove si parlava delle ambizioni “estorsive” del boss, cita il Calcio Catania. Il giudice interviene e l’argomento resta nel “limbo”. D’Aquino cerca di rimediare con “scusate, presidente”. Poco prima il “figlioccio” del capomafia Salvatore Cappello spiega che “Nuccio Mazzei” voleva restare fuori dalla guerra tra i Carateddi e i Santapaola. “Aveva due imprenditori vicini e voleva solo fare soldi”. Siamo tra il 2008 e il 2009, poco prima del maxi blitz Revenge che azzerò i vertici del clan Cappello. Finì in manette anche Gaetano D’Aquino che alcuni mesi dopo decise di collaborare con l’autorità giudiziaria. “Far parte di un gruppo criminale mi ha iniziato a fare schifo. Il mio passato mi fa vergognare” – motiva così la sua scelta di entrare nel programma.

Per D’Aquino non ci sono dubbi che Nuccio Mazzei è “il capo indiscusso” dei Carcagnusi. Con il boss si sarebbe incontrato più volte “dentro una stalla e nel suo chiosco bar, e una volta anche a Misterbianco da Ciccio Giocattoli”. Durante questi “rendez-vous” u Carcagnusu lo avrebbe informato che c’era un’indagine sul clan Cappello e che presto ci sarebbe stato un blitz contro di loro. Il clan avrebbe avuto degli informatori tra le forze dell’ordine. “Così come noi dei Cappello li avevamo, i nomi li ho rilevati all’autorità giudiziaria” – spiega D’Aquino, che questa volta non si lascia andare con il racconto.

Sebastino Mazzei sarebbe stato condannato a morte da Sebastiano Lo Giudice e Antonino Bonaccorsi. “Io mi sono rifiutato di farlo” – racconta il collaboratore di giustizia. Ci sarebbero stati appostamenti sotto casa di Mazzei e addirittura la domenica lo seguivano fino al bar “dove andava a comprare le paste”. “Se Nuccio mi sente può confermare” – dice a un certo punto D’Aquino spiegando i dettagli dell’agguato fallito. Una mattina sarebbero riusciti addirrittura a bloccare l’auto (una Micra) su cui viaggiava Mazzei. D’Aquino a bordo di uno scooter lo avrebbe affiancato: bastava premere il grilletto. Alla fine però avrebbe desistito. Mazzei avrebbe fiutato il mancato agguato e si sarebbe andato a lamentare da Orazio Privitera, che lo “avrebbe rassicurato dicendogli che se i ragazzi fossero stati lì per quello lo avrebbero sicuramente ammazzato”. Il boss – a sentire il racconto (de relato) di D’Aquino – ci avrebbe abboccato. A quel punto il progetto di uccidere il capo dei Carcagnusi sarebbe stato messo da parte. Privitera (che doveva dare il benestare) sapeva che il risultato sarebbe stata una guerra pericolosissima, anche perchè i Mazzei avevano “alleanze” forti con i Palermitani. Il “folle” omicida Sebastiano Lo Giudice voleva eliminare Mazzei da una parte per vendicare l’omicidio di Massimiliano Bonaccorsi del 2000 e dall’altra per cancellare la presenza dei Carcagnusi a San Cristoforo. La guerra però viene ingaggiata contro i Santapaola. L’uccisione di Raimondo Maugeri ne fu la prova. “Nuccio fu chiaro – racconta D’Aquino – lui non voleva allearsi con i Santapaola”.

Imputati del processo ordinario, che si è celebrato nell’aula Santoro dell’ex Pretura, sono Sebastiano Mazzei, il figlio Santo, la sorella Simona, la madre Rosa Morace, i fedelissimi del boss Gioacchino Intravaia e Gaetano Pellegrino (il fratello del consigliere comunale Riccardo citato dalla relazione della Commissione Antimafia), oltre a Michele Di Grazia, Giovanni Galati Massaro, Prospero Riccombeni, Silvana Aulino e Mario D’Antoni.

Molte volte Nuccio Mazzei evitava di presentarsi alle riunioni tra clan. “Al suo posto c’era un certo Lucio, che era suo cugino”. E’ lo stesso Lucio a cui fa riferimento Ignazio Barbagallo, collaboratore di giustizia e capo delle estorsioni della famiglia Santapaola a Belpasso e Camporotondo fino al 2009, quando fu arrestato nel corso del blitz “Summit” dei Carabinieri. I militari interruppero un “summit” di mafia e arrestarono Santo La Causa.

“I Carateddi stavano combinando un macello” – racconta Ignazio Barbagallo. A quel punto sarebbe stato convocato un incontro tra i Santapaola e i Mazzei a Ippocampo di Mare. “La casa se non sbaglio era quella di Lucio” – spiega il pentito. Per i Mazzei c’era Nuccio e il cugino Lucio, per i Santapaola Enzo Aiello, Turi Amato e Benedetto Cocimano. “Si voleva capire da che parte volevano stare i Carcagnusi in caso di una guerra con i Carateddi”. Ma Nuccio avrebbe preferito “essere neutrale”. In quella riunione poi si sarebbe parlato anche della volonta del gruppo dei Mazzei di Lineri, i ragazzi di Turi Paparazza, di passare con i Santapaola. Nuccio sarebbe stato categorico con Aiello: “Sono cose di famiglia, me la sbrigo io”.

Il cugino di Nuccio Mazzei, altri non è che Lucio Stella, processato e condannato con il rito abbreviato che si è da poco concluso. Il Gup Sebastiano Fabio Di Giacomo ha inflitto la pena di 8 anni di reclusione per Lucio Stella, nove anni e dieci mesi di reclusione per Mario Pappalardo (uomo fidatissimo del capomafia dei Carcagnusi), cinque anni e quattro mesi per Michele Maiolino e quattro anni e sei mesi per Antonino Daniele Sgroi. Assoluzione invece per Carmelo Grasso, Camillo Pappalardo, Giuseppe Scammacca ed Enrico Zappalà.

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16 Marzo 2016, 06:02

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