20 Gennaio 2017, 13:41
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PALERMO – Per i giudici della Corte dei conti ha danneggiato l’immagine della Regione. Per questo motivo, l’ex assessore regionale ed ex dirigente generale Gianmaria Sparma dovrà risarcire la pubblica amministrazione con la somma di 50 mila euro. La condanna, emessa dalla Sezione giurisdizionale presieduta da Luciana Savagnone, adesso è definitiva e conferma quella di primo grado. I giudici d’Appello hanno respinto, infatti, sia il ricorso di Sparma col quale veniva richiesta ovviamente la cancellazione della prima condanna, sia quello della Procura generale che chiedeva, per l’ex amministratore e anche ex assessore del governo di Raffaele Lombardo una pena assai più pesante.
La vicenda è quella del cosiddetto “scandalo Ciapi”: un’inchiesta che ha fatto emergere un utilizzo “disinvolto” dei fondi comunitari e che ha portato già alla condanna del deputato regionale Francesco Riggio che del Ciapi era presidente, del manager Faustino Giacchetto, di alcuni suoi collaboratori. Sparma invece aveva ha patteggiato a un anno e mezzo per “corruzione continuata di pubblico funzionario per il compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio”, ricordata dagli stessi giudici della Corte dei conti che hanno emesso la sentenza di secondo grado. “Lo stesso Sparma – annotano i giudici contabili – aveva ammesso, nel corso del procedimento penale promosso a suo carico, d’aver ricevuto, in varie occasioni, somme di denaro ed altre utilità dal Giacchetto e dai suoi sodali Vitale e Colli, al fine di soddisfare i loro ‘desiderata’”.
E così, ecco confermata la condanna a un risarcimento di 50 mila euro. Una cifra decisa “tenendo ponderatamente conto – si legge nella sentenza – della gravità dei comportamenti delittuosi tenuti dal medesimo (corruzione continuata di pubblico funzionario per il compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio); della reiterazione di tali comportamenti, che avevano determinato una sorta di “asservimento” ad interessi privati di parte delle funzioni da lui espletate quale pubblico funzionario; della posizione apicale di dirigente generale da lui ricoperta nell’ambito della Regione Siciliana; dell’ampia risonanza a livello mediatico della vicenda corruttiva, con conseguente notevole detrimento dell’immagine, del prestigio e della credibilità istituzionale dell’Amministrazione in seno alla collettività sociale; della cospicua entità dei vari benefici economici da lui lucrati, quale compenso per le attività illecitamente svolte”. Tutte azioni che hanno compromesso l’immagine della Regione. Condanna confermata in appello, adesso è definitiva.
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20 Gennaio 2017, 13:41