15 Dicembre 2020, 16:51
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PALERMO – A giudicare dal contenuto delle intercettazioni il sospetto è forte. Antonino Accardo sarebbe diventato sindaco di Calatafimi “comprando” i voti e godendo dell’appoggio dei mafiosi. Non solo, agli stessi mafiosi si sarebbe rivolto per incassare un credito.
Il sindaco è indagato per corruzione elettorale e tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Stamani è stato convocato dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Francesca Dessì e Piero Padova e ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Agli atti si cono un serie di intercettazioni telefoniche. L’ultima è del 15 aprile scorso. Un uomo chiama il sindaco. Chiede il suo intervento per zittire i vicini troppo rumorosi: “Fanno bordello tutta la notte e nemmeno mi fanno dormire, possibile mai… o siete solo buoni a bussare a quella cazzo di porta per un… cazzo di voto?”.
Il sindaco lo tranquillizza: “Chi? Ma che stai dicendo, devi cercare di parlare pulito innanzitutto e in maniera educata come come le persone civili”. L’uomo diventa ancora più esplicito: “… sono venuti anche cristiani qua… lì… che mi hanno dato i soldi… mi hanno dato per farlo salire a lei… lei è salito coi voti che gli abbiamo fatto comprare qua… ora vado in caserma e denuncio pure a lei”.
Il sindaco replica stizzito: “… e allora vai da questi che… che ti hanno cercato, a me non ti ho cercato… benissimo vai in caserma”.
Il passaggio successivo è la convocazione dell’uomo da parte dei poliziotti ai quali ammette: “A casa mia si presentò una persona che mi promise la somma di 50 euro per ogni voto che avrei fatto convogliare in favore del candidato sindaco Accardo Antonino. In tale occasione mi vennero consegnati piccoli volantini elettorali, già compilati, sui quali era riportato il nome dell’Accardo Antonino… in effetti dopo l’elezione dell’attuale sindaco di Calatafimi Segesta, Accardo Antonino, mi vennero consegnati i soldi promessi direttamente da parte della persona che era venuta in precedenza cercarmi. Sottolineo che diversamente da come promesso mi vennero consegnati 30 euro, cosa che mi infastidì tanto che chiesi spiegazioni. Questi rispose che quella era la somma che gli era stata data dal sindaco, Accardo Antonino, per pagare i voti ricevuti da parte di colore che lo avevano votato”.
L’uomo aggiunge un particolare. Dice di conoscere bene il sindaco perché lo ha visto incontrare il suo ex datore di lavoro, Nicolò Pedone, assieme a Rosario Tommaso Leo nella masseria di quest’ultimo, in contrada Sasi. Fatto del 2012 prima che Pedone e Leo venissero arrestati.
Secondo gli investigatori, è sincero. Al cognato in macchina, nel frattempo imbottita di microspie, spiega di avere raccontato la verità: “… ascolta ci pensi quando è venuto lo zu Cola?… per il fatto per il fatto delle votazioni… e ci hanno dato i soldi lì… a tutto il quartiere lì… che ha pagato le persone che hanno votato per il sindaco”. “Cola” sarebbe un altro imprenditore per cui ha lavorato saltuariamente. Non ha fatto subito il nome perché “gli ho detto… non mi voglio prendere una pallottola qui in testa”.
E così il telefono del sindaco finisce sotto intercettazione. Ad un abitante delle case popolari che gli dice “ho bisogno di parlare con lei… una cosa urgente era…”, il sindaco risponde: “… no.. non si può parlare per telefono…”.
Il 26 novembre 2020 sono il boss Nicolò Pedone e il suo uomo di fiducia Gaetano Placenza a mostrarsi preoccupati. Placenza: “Cola ci ha parlato… a quanto pare ha menzionato un bordello di persone questo…”. Concordano la strategia del silenzio: “Non gli devi dire niente… meglio è…”; “… fare morire una cosa così è meglio…”; “… è meglio… la cosa è delicata…”; “… però ci vogliono le prove”.
Ma c’è un altro episodio che riguarda il sindaco. Si sarebbe rivolto a Pidone per incassare una somma di denaro che gli doveva Leonardo Urso, pure lui fermato nella notte. In effetti Urso e il sindaco hanno fatto una società per commercializzare prodotti agricoli.
Urso vorrebbe pagare la metà del debito, cinquemila euro, ma Accardo rifiuta la proposta. Il 30 novembre 2019 la voce del sindaco finisce nei nastri delle intercettazioni della polizia. Placenza: “… allora ci dobbiamo andare… questa sera ci dobbiamo andare dico… è giusto?…”. Il sindaco: “…. io direi di sì… perché questo fino ad ieri continua a non rispondere… io posso provare nuovamente… faccio l’ultimo tentativo…”.
Placenza nel febbraio 2020 informa Pidone: “… l’altra volta con lui siamo andati a Marsala… qua a Petrosino con il sindaco… hanno fatto una società… avevano fatto una società… cose… gli hanno fatto un pacco”.
Il 28 febbraio 2020 i soldi non sono ancora arrivati e Accardo chiede nuovamente a Gaetano Placenza di investire della faccenda Rosario Tommaso Leo, altro fermato del blitz con precedenti per mafia. Ed è il sindaco a dire a Leo: “Vedi se riesci… se possiamo fare qualcosa”.
A un amico Accardo confida di avere bisogno di soldi: “Sto pagando per questo e per quello, perché ieri non ho dovuto pagare un’altra rata di 1000 euro a quello là di… ti sembra che tra quattro anni mi candido di nuovo? … difficile mi sembra…”.
Passano i giorni e il sindaco sollecita Placenza: “… gliene parli e gli dici se chissà lo dovesse contattare e lui è d’accordo, gli dici che agguanta e non c’è bisogno gli dici carta bianca gli dici…”.
Che sia accaduto qualcosa di illecito nella raccolta dei voti emergerebbe in altre conversazioni. In quella fra l’imprenditore Salvatore Craparotta e la moglie subito dopo le elezioni del 2019: “Ce li siamo comprati i voti… 50 euro ogni voto… quanto ci è voluto? Sono 1900 voti… anche se sono 2000… due per cinque dieci… c’erano 100 mila euro messi da… a disposizione per comprarsi tutti sti voti… ne abbiamo spesi di meno perché sono stati invece di 2000 sono stati 1900 e rotti… i voti…. sono rimasti un po’ di soldi…”. Una cifra enorme, tutta da verificare.
Altra conversazione sull’argomento è del giugno 2019 fra Giuseppe Gennaro e Salvatore Barone, quest’ultimo fra i fermati per mafia: “Come vanno le cose?”; “Al comune si sono sistemate… almeno ora siamo più tranquilli…”; “Va bene con Nino ci si può parlare…”; “Nino è sempre a portata di mano”.
In realtà in una conversazione di Pidone viene fuori il malcontento del boss: “Io l’altra volta me lo sono preso di petto e l’ho mandato a fare in culo… avanti ieri… qualche settimana fa l’ho incontrato… piglia ed ha fatto finta che nemmeno ci ha visti a noi… né a me e nemmeno a Peppe…”.
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