04 Maggio 2009, 18:22
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“Vivo sotto scorta, non è facile… ma, ti dirò, oggi mi sento veramente libero”. E’ calmo, ha una strana serenità negli occhi, quella di chi dopo tante sconfitte riesce a raccogliere le sue forze e a sbarazzarsi definitivamente dal giogo. Giovanni Ceraulo, 47 anni, titolare della catena di negozi di abbigliamento “Prima visione” di Palermo, la forza l’ha trovata dopo tredici anni, dopo aver pagato più di 150 mila euro ai suoi estortori, dopo essersi ritrovato più di una volta con le vetrine frantumate e le serrature imbottite di colla. Ha deciso di parlare, di denunciare, di costituirsi – anche grazie all’aiuto di Addiopizzo – parte civile nel processo “Old Bridge”. “Avevo tante ambizioni – dice appena fuori dall’aula – alle quali ho dovuto rinunciare. Ma ho ricevuto solidarietà da tante persone sconosciute e questo mi dà la forza di preservare quello che ho oggi, anche per i miei figli”.
“L’ho fatto per la mia famiglia – ha risposto al pm che gli chiedeva i motivi della sua scelta – per i miei figli, che venivano considerati come i figli di un imprenditore poco trasparente… Si diceva addirittura che ero un prestanome. E poi ho sempre pagato, dal ‘95, e, nel 2008, mi sono chiesto cosa fare: ‘aspettare una nuova intimidazione e continuare?’ Ho deciso che bastava così, che li avrei denunciati”. Come ha raccontato stamattina, più di una volta ha sentito la voglia di liberarsi dalla morsa del racket. Senza mai riuscirci: “Quando dicevo di non voler pagare, partivano le minacce e alla fine cedevo”, senza neppure denunciare le intimidazioni subite. “Cinque milioni di lire a Natale e cinque milioni a Pasqua”, questo il dazio che l’imprenditore avrebbe consegnato (anche se non personalmente) ad Agostino Badalamenti e Tommaso Lo Presti, con l’intermediazione di Melchiorre Guglielmetti, un suo dipendente.
Nel 2000, la cifra lievita, i due avrebbero preteso “subito venti milioni”, dieci per ogni ricorrenza o “a rate mensili o trimestrali…l’importante era versare venti milioni all’anno”. Tra il 2001 ed il 2002 il primo tentativo di svolta. “Quando morì Badalamenti – ha spiegato Ceraulo – decisi che non avrei più pagato. Mi sono opposto. Ma mi hanno distrutto tutte le vetrine del negozio di via Bandiera. Così presi di nuovo accordi con Lo Presti”. E con l’arrivo dell’euro, cambia anche la tariffa: 23 mila euro annui.
Un’altra speranza di liberarsi arriva con l’arresto di Tommaso Lo Presti (“il pacchione”), ma subito sfuma con l’entrata in scena del cugino omonimo, “il lungo”, che incasserà le somme fino al 2007, quando sarà arrestato. “A quel punto ho avvisato tutti – ha precisato Ceraulo – non volevo più pagare”. Nel frattempo, però, oltre alla mafia di Porta Nuova, inizia a pressarlo anche quella di Brancaccio, prima con Gaetano Savoca, poi con Andrea Adamo. “Avevo difficoltà – ha detto l’imprenditore – un debito di 120 mila euro con l’azienda fornitrice gestita da Gaetano Artale. Ho pure ricevuto un atto ingiuntivo”. Ma Savoca gli avrebbe detto di “lasciar perdere le carte, di pagare e subito”. “Poi mi dicono che Savoca si è trasferito e che devo far riferimento ad Adamo. Ma non avevo i soldi, non potevo… Così riuscii ad accordarmi con lui e a versare i 120 mila euro in dodici rate da 10 mila”.
Ma la Squadra mobile, dopo aver ascoltato le intercettazioni dell’operazione “Old Bridge”, convoca Ceraulo: “Ho detto che pagavo, ma non sapevo chi erano gli estortori, anche se lo sapevo benissimo”. E’ qui però che la svolta arriva davvero: l’imprenditore licenzia Guglielmetti (imparentato con Savoca e Adamo e che, secondo Ceraulo, ha sempre avuto il ruolo di mediatore nelle varie vicende) e poi si decide a denunciare tutto. A liberarsi una buona volta.
Dopo un’aggressione a Isola delle Femmine, mentre è in un locale con la moglie, a settembre scorso gli è stata concessa la scorta. Che controlla e segue tutti i suoi movimenti, “ma ora sono moralmente libero”.
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04 Maggio 2009, 18:22