“Ho insegnato la pittura | al boss Luciano Liggio”

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27 Marzo 2009, 07:11

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L’uomo che dipinge ha le mani immense. E’, a parere di chi scrive, un grande pittore. Ma viene citato soprattutto per il titolo che campeggia su questo articolo, anche se la cosa non gli va troppo a genio. E’ la crudeltà della cronaca che trae dal mazzo un insignificante ma lucentissimo frammento d’esperienza, lasciando nell’ombra il resto.
Il nostro viaggio in carcere non poteva prescindere da Alessandro Bronzini per diversi motivi. Perché il maestro è la testimonianza che la riabilitazione è un evento possibile. Perché è stato in diversi istituti di pena ed è in grado di fare una comparazione utile. Infine, perché l’uomo dalle mani immense ha molto da raccontare, a cominciare da certi pomeriggi in cella che non scorrono mai, avvitati come sono alle lancette di un orologio immobile, per finire con la speranza che brilla lo stesso, dove – secondo logica e sentimenti cupi – dovrebbe esserci solo un buio opprimente.
Alessandro Bronzini ha pagato il suo debito. I motivi che l’hanno portato a scontare circa trent’anni di carcere sono esclusi dalla presente intervista per ragioni di cortesia. Una sforbiciata al diritto di informazione, per  una richiesta da esaudire. Forse è giusto così. L’uomo dalle mani immense non è più il suo passato.

Maestro Bronzini, come andò con Liggio?

“Ero all’Ucciardone. Gaspare Mutolo (mafioso e collaboratore di giustizia, ndr) mi avvicinò. Mi disse che Liggio voleva imparare a dipingere e che aveva scelto me come suo insegnante. Io, come pittore, sono stato sempre discretamente famoso, dentro e fuori”.

Lei come reagì?

“Io all’inizio non volevo, però si trattava di barcamenarsi in un contesto difficile”.

Come andò?

“Fini che chiesero l’autorizzazione al direttore. Fu concessa”.

Si disse che era lei l’autore dei quadri del boss.

“Non è vero. Lo scrivo pure nel libro di memorie che pubblicherò presto”.

Liggio voleva dipingere sul serio o si atteggiava per costruire un’immagine?
“No, no, voleva dipingere. Era una persona che intendeva migliorare la sua vita. Aveva capito che sarebbe rimasto in carcere e si stava attrezzando. Leggeva libri di filosofia”.

Un po’ difficile immaginare un sanguinario capomafia come Lucianeddu intento in occupazioni artistico-filosofiche…

“Lo so. Questo è quello che posso riferire io”.

Si disse che era Mutolo l’artefice dei quadri di Liggio.

“Fesserie. Mutolo non sa disegnare. Riproduce paesaggi e basta. Deve essere andato a scuola di pittura da qualche cretino. Lo scriva, per piacere”.

Cosa dipingeva Liggio?

“Le chiese, le valli e i trattori di Corleone. La sua era una fissazione e poi ricordava ogni particolare del suo paese. Una memoria di ferro”.

Un tema caro.

“Forse era il suo modo per aprirsi in cella una finestra panoramica”.

E poi ci fu la famosa mostra con i quadri del boss.

“La mettemmo in piedi dopo un anno di lavoro. E Liggio si addolorò quando lesse sui giornali che aveva dipinto i quadri con le mani sporche di sangue”.

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Bronzini, cos’è il carcere?

“E’ una delle cose più orrende inventate dall’uomo”.

Facciamo parlare i suoi bellissimi quadri. Qui si vede un galeotto in mezzo ai topi.

“Sono io a San Vittore. I topi c’erano davvero. Ti aggredivano in cella”.

Qui c’è un detenuto con le mani aggrappate alle sbarre.

“Sempre io, a Cuneo, il posto peggiore. Il freddo e la solitudine ti mangiano più dei topi”.

Lei come ha resistito?

“Ho trovato la forza grazie alla pittura, altrimenti sarei impazzito”.

Ha sentito la storia di Nino Marano dell’Ucciardone? Dipinge, ma un regolamento gli vieta di regalare i quadri alla nipotina.

“Sì, l’ho letta”.

Che ne pensa?

“L’ho detto, il carcere è orrendo”.

C’è qualcuno che può ringraziare?

“Il garante dei detenuti Salvo Fleres. Venne a trovarmi in istituto. La sua legge sul reinserimento è ottima, ma anomala. Dovrebbe essere recepita di più, per funzionare al massimo, da tutti”.

Lei ha dipinto sempre?
“Certo, anche in cella all’Ucciardone. A Brucoli ho fatto i murales. Ecco guardi questo in foto…”.

…Ci sono persone che volano oltre le mura di cinta, attaccate a un palloncino. E l’altro appeso, con le toghe e i politici che si reggono a un filo sospeso?

“E’ l’ultimo”.

Come si intitola?

“I Funamboli”.

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27 Marzo 2009, 07:11

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