“Ho paura, ecco perché pago”| Le storie delle vittime del racket

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13 Maggio 2016, 06:15

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PALERMO – “Non posso più nascondere la verità. Da quando ho aperto l’attività commerciale varie persone si sono susseguite nel tempo per ritirare soldi per il mantenimento dei carcerati”. E’ l’amaro racconto di una vittima del racket delle estorsioni. Il titolare di una stazione di servizio che ha deciso di opporsi ai boss del Borgo Vecchio, che nel popolare quartiere chiedevano il pizzo a tappeto.

Il muro di omertà stavolta è stato abbattuto in una delle zone del capoluogo in cui Cosa nostra ha da sempre trovato terreno fertile ed ha permesso l’arresto di sette persone per associazione mafiosa ed estorsione. Chi ha subito le continue richieste di denaro, le pressioni psicologiche degli uomini del mandamento Porta Nuova, le minacce e le intimidazioni, ha scelto di denunciare dopo anni di inferno. E lo fatto associando ad ogni volto un nome ed un cognome.

Tra chi si sarebbe recato più volte nell’area in cui si trova il distributore di carburante, c’è Francesco Chiarello, collaboratore di giustizia dallo scorso anno, le quali dichiarazioni hanno svelato le dinamiche adottate dagli uomini del pizzo in quella zona della città. “Prima di essere arrestato è venuto più volte da me – ha raccontato il titolare agli inquirenti -. Gli ho consegnato più volte 150 euro. Con lui spesso c’era ‘Gino ‘u pacchione’, Vincenzo Vullo. A bordo di una Smart vedevo sempre Gaspare Parisi”. Entrambi sono stati arrestati dai carabinieri su disposizione del gip Filippo Serio, nell’ambito dell’inchiesta “Panta Rei”, seconda tranche del maxi blitz che lo scorso dicembre ha portato in cella 38 persone, tra boss e gregari di Porta Nuova e di Bagheria.

Cinquecento euro a Natale e cinquecento a Pasqua, invece, venivano chiesti al titolare di un chiosco di bibite. A mettere a segno l’estorsione per diversi anni, sarebbe stato Giuseppe Minardi, anche lui finito in manette. Ma i boss non si lasciavano sfuggire nulla: ogni attività commerciale poteva rappresentare la possibilità di rimpinguare le casse di Cosa nostra e come già riferito dal pentito Chiarello ai pm, nel mirino era finita pure una pasticceria.

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Si tratta di un’attività commerciale a pochi metri dal porto, la zona “calda” in cui gli estorsori seminavano il terrore. Proprio in base alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, gli inquirenti hanno sentito i titolari dell’attività commerciale. Dopo una iniziale reticenza hanno ammesso di aver pagato il pizzo sin dall’apertura del negozio. Avevano cominciato a sborsare 500 euro al mese dopo avere subito vari danneggiamenti. Prima la colla sui lucchetti, poi le gomme dell’auto bucate. E insieme a Chiarello, che si occupava quasi sempre della riscossione, alla pasticceria si presentava spesso Salvatore Ingrassia, un altro degli arrestati nel blitz di oggi.

Quest’ultimo avrebbe fatto spesso coppia col neo pentito. I due si recavano insieme a riscuotere il pizzo pure in una trattoria che si trova nel cuore del Borgo Vecchio. Qui la richiesta estorsiva ammontava a 300 euro mensili, come lo stesso titolare dell’attività commerciale ha confermato: “Ho timore nel raccontarvi ciò che da tempo sono costretto a subire, ma alla luce di quanto dichiarato da Chiarello, che io conosco personalmente, non posso nascondere quello che mi succede”. La paura non ha impedito al ristoratore di fornire nomi e dettagli sugli episodi estorsivi ed ha così proseguito: “Il ritiro dei soldi avveniva mensilmente nella mia trattoria. Prima si presentava Ingrassia, poi Chiarello. Mi dicevano che servivano per aiutare le famiglie dei carcerati e per contribuire alle spese delle feste rionali”.

Le dichiarazioni del pentito hanno trovato conferma anche in quanto denunciato dal titolare di una tabaccheria. Lì a pagare il pizzo aveva cominciato il nonno, poi le richieste estorsive erano state fatte al nipote: “Ci sono andato io – ha messo a verbale Chiarello – e ci dissi ‘Mettiti a posto perché tuo nonno pagava a chi doveva pagare”. E il ragazzo ha cominciato a pagare. Messo alle strette dopo quanto riferito dal collaboratore di giustizia ha fornito ogni dettaglio delle richieste dei boss, che pretendevano 500 euro a Natale e 500 a Pasqua. “Così fino al giorno del suo arresto – ha aggiunto il tabaccaio – poi da me si è presentato Giuseppe Tantillo (arrestato a dicembre 2015, ndr). Da allora i soldi li ha riscossi lui”.

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13 Maggio 2016, 06:15

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