15 Settembre 2010, 16:32
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Baby sitter, bagnini, impiegati part time nei call center o come aiuto bibliotecari, insegnanti di doposcuola per bambini: è il popolo degli studenti di Lettere di Palermo. Questa mattina, mentre nella cappella del cimitero di Sant’Orsola si celebravano i funerali di Norman Zarcone, nell’edificio di Lettere della cittadella universitaria non si parlava d’altro. Una generazione sospesa, tra esami e lavoretti per arrotondare e poter bere una birra o mangiare una pizza senza chiedere i soldi a mamma e papà. “Intraprendere la carriera universitaria oggi – dice una studentessa di Filosofia che non vuole dire il suo nome come alcuni suoi colleghi– è imboccare la strada verso una carriera spezzata”. “Il mondo universitario è un imbuto inaccessibile” aggiunge un suo collega di Scienze storiche. “La verità è che ci sono pochi posti, poche cattedre. E quindi o ti cerchi una scorciatoia o cambi strada” prosegue la ragazza di Filosofia. “Io? Preferisco fare altro nella vita, ma non cercherei mai la scorciatoia, l’aggancio politico. Significherebbe scendere troppo in basso, ma il problema è che molte persone non l’hanno ancora capito”.
“La verità è che qui è demoralizzante tutto – dice Laura, studentessa di Lettere moderne –, sia parlare coi professori che rispondere dicendo che studi lettere a chi ti chiede cosa fai nella vita. La gente ti guarda come se stesse pensando che non hai futuro. Sai cos’è? Se provi a parlare del futuro coi ragazzi della nostra generazione, ti rispondono “spero di fare questo o quell’altro”. Spero. Non c’è certezza di quello che si diventerà nella vita”. Ad ogni modo, tra gli studenti di Lettere è pressoché unanime il commento sulla scelta del luogo da cui Norman si è tolto la vita: “E’ un messaggio chiarissimo” dice Laura, Lettere moderne. “Avrà voluto dare un segnale, la scelta del luogo non può essere casuale” aggiunge Sara, che frequenta lo stesso corso di laurea di Laura.
Rimane però scetticismo, tra gli abitanti della facoltà, rispetto al movente: “Se il movente di Norman fosse stato soltanto quello accademico, allora dovremmo legarci tutti una pietra al collo”, dice Mario, studente di Lingue moderne per il web. “Rimanere sospesi e non sapere cosa si farà nella vita non è bello, ma io non sarei mai arrivato a quel gesto – aggiunge Carlo, studente di Scienze storiche –. Certo, il posto in cui lo ha fatto non può essere totalmente slegato dal resto, in genere chi sceglie di togliersi la vita lo fa nel privato delle mura domestiche. Se ha scelto la Facoltà ci sarà un perché”. E ancora, Marcella, Lettere moderne: “Io non credo che soltanto questo possa portare al suicidio, ma se si vive un malessere di fondo dettato da altro, certo il mondo universitario non facilita le cose. Ma ripeto, deve esserci dell’altro, nessuno si toglie la vita soltanto per quello”.
“Norman aveva il miglior tutor che si potesse immaginare, lo scriva”. A dirlo è una studentessa di Filosofia, rimasta fino a quel momento in disparte. Gli occhi lucidi, la voce spezzata dalla rabbia: “il professor Rigamonti è la persona più corretta che ci sia qua in mezzo, adesso magari lo coinvolgeranno”.
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15 Settembre 2010, 16:32