09 Luglio 2024, 05:01
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CATANIA – Ci sono anche dinamiche sconcertanti, sui rapporti tra due diverse e pericolose organizzazioni criminali, tra gli atti dell’operazione della Guardia di Finanza “Filo Conduttore”. I picciotti del clan Pillera che trattano con “alcune persone” della Sardegna.
Siedono allo stesso tavolo come se fossero generali di eserciti alleati, con nessuna intenzione di farsi la guerra. Anche perchè poi, una via di mezzo, c’è sempre. Perchè sono questioni di “business”, non c’è mica nulla di personale. Dall’inchiesta viene fuori una storia che sembra estratta da una pellicola di Francis Ford Coppola.
A raccontarla è un pentito, Salvatore Messina, esponente di vertice del clan Pillera. Le sue dichiarazioni sono contenute nell’ordinanza del Gip Simona Ragazzi, che ha portato ai domiciliari, tra gli altri, il procuratore speciale della spa Sielte, che secondo gli investigatori avrebbe fatto affari con società vicine alla cosca, una delle più attive all’interno del clan Santapaola.
La mafia catanese, in sostanza, si sarebbe mossa in favore di una ditta romana che, come avrebbero fatto altre società vicine al clan, avrebbe preso lavori in subappalto dalla Sielte, il cui ex procuratore speciale è indagato per presunte connivenze con il clan catanese. “Questa ditta di Roma aveva fatto dei lavori in Sardegna e vantava un credito che non gli veniva pagato in quanto si contestava loro di non aver eseguito bene i lavori”, ha raccontato Messina.
“Domenico Lombardo, responsabile della Sielte (…), mi mandò a chiamare a Catania e mi chiese di interessarmi per questo recupero che ammontava a 260 mila euro, dicendomi che ci avrebbe fatto poi un regalo”. A quel punto mandò due uomini fidati in Sardegna. L’obiettivo era solo uno: recuperare crediti. Come se fossero degli ufficiali giudiziari. Peccato che in realtà fossero dei mafiosi catanesi.
Si presentarono dal debitore con fermezza… “e su mia indicazione – racconta Messina – si qualificarono come componenti del clan Pillera e lo sollecitarono a pagare il dovuto. Il debitore chiese di avere i conteggi precisi, impegnandosi a pagare entro un mese”. In poche parole, il debitore prese tempo.
A quel punto Messina sostiene di aver riferito tutto a Lombardo. “Ma in realtà il debitore prese contatti direttamente con il creditore romano per incontrarsi lì a Roma e disse anche che voleva che ci fosse qualcuno di noi catanesi per discutere la questione ed io compresi che probabilmente (…) si sarebbe presentato con soggetti sardi”.
La questione si era fatta complessa, così il boss si presentò di persona all’incontro finale. “Quindi andai personalmente e ci incontrammo a Fiumicino”. L’imprenditore effettivamente “si presentò con altre due persone (evidentemente dei suoi amici sardi poco raccomandabili, ndr.) e questi mi contestarono che noi catanesi non potevamo fare recuperi in Sardegna. Io precisai che si trattava di lavoro e che stavamo curando gli interessi di un amico nostro”.
Un clima quasi cordiale, insomma. Nessuno aveva intenzione di mettersi a litigare. E comunque, in casi del genere, raramente i clan dei Santapaola si trovano di fronte qualcuno con la stessa potenza di fuoco. In generale fanno piuttosto paura
E accordo fu. Messina la racconta così: “A conclusione della discussione abbiamo chiuso concordando che il saldo sarebbe stato di 200 mila euro anziché 260 mila, somma che poi fu effettivamente pagata all’imprenditore romano”.
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09 Luglio 2024, 05:01